Vi è mai capitato di raggiungere un obiettivo, ricevere applausi da tutti ma non da voi stessi? Vivere nell’incessante turbine grigia del “non sentirsi adatti” o la certezza matematica che “prima o poi capiranno che non valgo nulla“.
E quindi ecco che ogni successo non è mai merito nostro ma sempre fortuna o frutto di fattori esterni. Noi abbiamo esplorato questa “sensazione” analizzandola in esclusiva con la Dott.ssa Valentina La Rosa: psicologa, psicoterapeuta, assegnista di ricerca e docente a contratto di Psicologia dello Sviluppo presso l’Università di Catania.
Ecco cos’é la cosiddetta “Sindrome dell’impostore“.
Che cos’è, a livello psicologico, la sindrome dell’impostore? Come si manifesta?
“La sindrome dell’impostore è quella sensazione per cui, anche se abbiamo ottenuto risultati importanti, ci sentiamo come se non li meritassimo davvero. È come se, da un momento all’altro, qualcuno potesse accorgersi che non siamo “abbastanza bravi”. Chi ne soffre tende a pensare che i propri successi siano dovuti a fattori esterni, come la fortuna o l’aiuto degli altri, e non alle proprie capacità. Questo porta spesso a sottostimare i propri successi, a sentirsi inadeguati o a mettersi sotto pressione per “non deludere le aspettative”. Si tratta di una forma di auto-sabotaggio molto più comune di quanto si pensi”.
Secondo lei, da dove nasce questo senso di inadeguatezza? È solo insicurezza o c’è dell’altro?
“Le cause sono diverse. Ci sono aspetti personali, come una bassa autostima o l’abitudine a essere molto critici con sé stessi. Ma c’è anche una componente culturale: spesso cresciamo pensando che il nostro posto nel mondo si possa “meritare” solo attraverso risultati perfetti. Alcune persone hanno interiorizzato fin da piccole che il proprio valore dipende da quanto riescono a fare o a ottenere. C’è poi qualcosa di ancora più profondo: la difficoltà a riconoscersi un’identità solida e a percepire il proprio valore a prescindere dai voti, dalle promozioni e dai titoli”.
È un problema individuale o anche sociale?
“Entrambe le cose. A livello personale, ognuno vive questa sensazione in modo diverso. Tuttavia, la società in cui viviamo può sicuramente amplificare questa tendenza. Siamo immersi in una cultura che ci spinge a essere sempre performanti e a migliorarci continuamente. Il confronto è continuo, anche a causa dei social, e spesso ci porta a vedere solo i successi degli altri, mai le loro fatiche. Questa dinamica crea l’illusione di dover essere sempre all’altezza di standard altissimi. In questo senso, la sindrome dell’impostore è anche un riflesso dei nostri tempi“.
Può avere anche un lato positivo?
“In alcuni casi sì. Se gestito bene, un po’ di dubbio può aiutarci a restare umili, a prepararci meglio e a non dare nulla per scontato. Può essere un segnale di consapevolezza, soprattutto per chi prende sul serio il proprio lavoro. Tuttavia, quando diventa una costante, quando ci impedisce di riconoscere il nostro valore o ci paralizza, allora non è più utile. L’obiettivo non è eliminare tutte le nostre insicurezze ma imparare a gestirle e a non farci condizionare eccessivamente da esse“.
C’è un caso, tra i suoi pazienti, che l’ha particolarmente colpita nel modo in cui ha vissuto questa sindrome?
“Senza entrare nel dettaglio delle singole storie, per rispetto della privacy delle persone che seguo, posso dire che è una dinamica che incontro spesso. Ciò che più mi colpisce è che queste sensazioni di inadeguatezza emergono anche in persone molto capaci e brillanti che però fanno una grande fatica a riconoscere il proprio valore. È come se vedessero solo ciò che manca e mai ciò che hanno. In terapia, un passo importante è proprio imparare a guardarsi con più gentilezza, senza dover essere perfetti per sentirsi abbastanza”.
Ci sono ambiti o età in cui è più frequente?
“Sì, in particolare nei contesti ad alta pressione, come il mondo accademico, le professioni sanitarie, creative o educative, ma anche tra i giovani che stanno entrando nel mondo del lavoro. È molto comune anche tra le donne, soprattutto quando si trovano in ambienti ancora dominati da logiche maschili. In generale, ogni volta che ci troviamo in un ruolo nuovo o sentiamo di dover “dimostrare qualcosa”, questa sindrome può manifestarsi con forza”.
Lei stessa ha mai vissuto la sindrome dell’impostore? E se sì, come l’ha affrontata?
“Sì, è capitato anche a me, soprattutto nei momenti di cambiamento o quando ho ricevuto riconoscimenti inaspettati. Penso che sia umano. Il modo in cui affronto queste situazioni è lavorare ogni giorno per sentirmi “autorizzata” a essere dove sono. Ho imparato che non è necessario aspettare di sentirsi pronti al 100% per potersi esporre. Ho anche capito l’importanza di avere accanto persone che ti vedono, ti sostengono e ti ricordano il tuo valore anche quando tu tendi a dimenticarlo”.
Secondo lei, qual è il segreto per sentirsi legittimati nei propri successi, senza diventare arroganti?
“Forse il segreto sta nel riconoscere che nessun successo è mai solo merito nostro ma è il frutto di tanti fattori: impegno, sì, ma anche incontri, opportunità e relazioni. Se teniamo a mente questo, possiamo essere orgogliosi dei nostri risultati senza sentirci superiori agli altri. La vera sicurezza non ha bisogno di dimostrare nulla perché sa riconoscere i propri successi con gratitudine e i propri errori con maturità e indulgenza verso se stessi”.