Tre volte campione del mondo di kick boxing, quattro successi europei nella medesima competizione ed un argento alle olimpiadi europee. Ma anche dottore in scienze motorie, insegnante in Italia e nel mondo e grande appassionato di motori.
Damiano Tramontana è questo e molto, moltissimo, altro. Un orgoglio per il Bel Paese e soprattutto per la Sicilia, dove ha forgiato il suo talento per gli sport da combattimento, cominciando ad allenarsi in una palestra a Francofonte, nel Siracusano, e dove adesso insegna personalmente.
Noi di Newsicilia abbiamo avuto il piacere di fare quattro chiacchiere con Damiano, raccontando la sua carriera divisa tra studio e sport, che ha voluto racchiudere in tre grandi parole: “Sacrificio, successo, perseveranza“.
Alla scoperta di un campione
L’atleta ci ha “narrato” del suo passato e di come tutto sia “nato per gioco. Avevo 11 anni, era estate, e giocando a calcio un amico mi raccontò di questo sport che disconoscevo e mi convinse a provare“.
“Allora andai di nascosto dai miei genitori perché sapevo che non avrebbero mai acconsentito ad uno sport considerato “violento”. Mi piacque tantissimo e tornato a casa lo dissi a mia mamma: la risposta fu un no categorico“.
“Ci rimasi molto male e passavo le giornate a pregarla di farmi iscrivere fino a quando, durante una giornata in spiaggia, era stata organizzata una sorta di boxe in acqua e, convinta finalmente mia madre, iniziò tutto. Il maestro vide che avevo del talento e mi portò dopo pochi mesi a combattere“.
“Persi l’incontro ma non mi demoralizzai continuando ad allenarmi con costanza. Allenamenti che seguivo dopo quelli di calcio, che ancora praticavo e dunque mi vedevo uscire ancora in calzettoni per recarmi subito dal mio maestro“.
“Poi presi la scelta di lasciare il calcio, volenteroso di concentrarmi al cento per cento in questa nuova parte della mia vita e all’inizio mio padre, che era il presidente della squadra, non la prese benissimo perché lui era appassionatissimo ed io ero abbastanza portato“.
“Ma sempre testardo e appoggiato da mia madre, presi questa decisione e da lì cominciarono le mie prime vittorie in gara trascinando anche mio padre in questa passione, non perdendosi neanche una mia gara e accompagnandomi sempre dai 12 ai 17 anni“.
“I miei genitori sono stati fondamentali nel non farmi perdere la costanza, cercando di tenermi nella “retta via” anche quando non mi andava di allenarmi“.
Quando hai realizzato che questo sport poteva darti di più?
“Allora, in realtà questo momento non c’è effettivamente stato, perché in Italia purtroppo se non giochi a calcio difficilmente guadagni con lo sport, dunque essere professionista è complicato, nonostante però io mi alleni come tale, dedicando all’esercizio tra le 10 e le 12 sessioni a settimana“.
“La mia professione reale è racchiusa nella mia palestra, dove insegno e realizzo seminari in Italia e nel mondo e quindi i guadagni arrivano da lì. Non posso sopravvivere di combattimenti, insomma“.
“In questo mondo, plasmato nel sacrificio tra diete e tempo libero quasi a zero, non ho mai mollato perché a me piace genuinamente combattere, e quindi questo processo di “realizzazione” è avvenuto gradualmente, senza colpi improvvisi, spinto dall’amore disinteressato che provo per questo sport“.
Più bello insegnare o combattere?
“Insegnare mi piace molto perché vedo la passione e la volontà che ragazzini, ma anche adulti, mettono e l’interesse che hanno nell’ascoltarti. È gratificante che tu insegni e loro vogliono imparare, però non ti nascondo che quando sto all’angolo di un mio atleta a me piacerebbe stare dentro il ring“.
“E quindi ad oggi sono ancora attratto maggiormente dal combattere perché ancora so che posso mettermi in gioco e amo questa sensazione“.
Esame universitario più tosto?
“Anatomia decisamente, se non erro era la mia prima materia e soprattutto difficile perché era ampia e complessa, nonostante mi piacesse studiarla“.
“Ho impiegato sei mesi per darmela tutta, quindi è stata bella tosta ma ne è valsa la pena perché ancora oggi ricordo quasi tutto e sono riuscito a mettere in pratica quelle ore di studio, tra spiegazioni in palestra ed esercizi in cui pagine e pagine di anatomia sono state molto d’aiuto“.
E l’incontro più difficile?
“Credo che ogni match sia a sé, con le proprie difficoltà. Quello che mi ha regalato più emozioni è stata la finale del campionato mondiale del 2021 contro un atleta russo“.
“Io giocavo con un piede quasi rotto, tenuto su da antidolorifici, ed il match è iniziato subito in salita perché lui era davvero forte. Ma da quelle difficoltà sono riuscito ad uscire vittorioso buttandolo giù e superando ogni mio limite che in quel momento avevo sul ring“.
Combattimento dei sogni?
“Dal punto di vista pugilistico, mi piacerebbe sfidare uno dei miei idoli, Vasyl’ Lomačenko. Pugile ucraino, fortissimo, ma credo che in un match ufficiale difficilmente riuscirei a sfidarlo perché lui si trova a livelli davvero altissimi nello sport“.
“Nella kick boxing penso di non avere un avversario in particolare perché mi sono confrontato quasi con tutti“.
La tua routine quando studiavi all’università?
“L’università fu molto difficile per me. Abitavo a Francofonte, studiavo a Catania e per non saltare gli allenamenti e “tradire” il mio maestro facevo continuamente il pendolare. La mattina uscivo di casa presto, andavo all’università, poi tornavo e andavo subito ad allenarmi“.
“Riuscivo a studiare o nei buchi tra una lezione e l’altra o addirittura la sera dopo l’allenamento. Poi ho preso la decisione di vivere a Catania perché era diventato difficile da un punto di vista economico e ne risentivano anche le mie prestazioni in allenamento“.
“Università, palestra, lavori a casa ed uscite fuori quasi a zero. All’inizio ho avuto dei problemi con il conseguimento delle materie perché non mi era stato riconosciuto lo status di studente/atleta e non ho potuto fare molti esami per le assenze“.
“Nonostante tutto non mi sono mai buttato giù, perché questo sport mi ha forgiato un certo tipo di carattere fin da piccolo e quindi non ho mai mollato“.
Sulla tua passione per le moto?
“La moto è una passione che coltivavo da bambino, però i miei genitori erano molto restrittivi sul comprarmene una perché “è pericolosa”. Oltre l’adolescenza passata con un cinquantino, dopo i 18 anni l’idea di avere una moto mi piaceva ma nulla di più“.
“Idea che sembrava svanita del tutto quando ho perso un mio carissimo amico proprio sulle due ruote. Un giorno però mi sono svegliato e mi sono deciso a prenderne una. Guido da 3 anni e ti devo dire che mi regala delle libertà incredibili e ti “inietta” quella stessa adrenalina che il ring riesce a darmi“.
Che messaggio daresti a chi studia e pratica sport?
“Nella vita volere è potere, nessuno è in grado di decidere della vostra vita e solo noi siamo i giudici del nostro destino quindi se vogliamo una cosa dobbiamo crederci fino in fondo. L’impegno e il sacrificio sono alla base di ogni successo“.
In foto Damiano Tramontana