PALERMO – È arrivato il momento di Massimo Ciancimino, il figlio dell’ex sindaco di Palermo Vito, ad essere processato sulla trattativa tra Stato e mafia nell’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo.
Davanti alla corte di assise, presieduta da Alfredo Montalto, vi è stata la presenza di numerosi giornalisti e decine di studenti sugli spalti, mentre nell’aula i pubblici ministeri, tra cui il procuratore aggiunto Vittorio Teresi e i sostituti Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene, oltre ovviamente l’imputato Massimo Ciancimino assieme all’avvocato Roberto D’Agostino, che ha sostituito il legale storico Francesca Russo che ha rimesso il mandato.
È stato inoltre attivato anche il collegamento in videoconferenza da Parma per consentire la partecipazione del boss Salvatore Riina, presente anch’egli, dunque, dopo che nei giorni scorsi era stato ricoverato per motivi di salute.
“Mio padre ha conosciuto Bernardo Provenzano. – ha affermato Ciancimino – Ma l’ho conosciuto anche io, direttamente. Il rapporto con Provenzano c’era da sempre. Ero ragazzino e la sua presenza settimanale a casa nostra era una costante.”
“Ho preso contezza – continua l’imputato – che questo personaggio, che all’epoca si presentava come l’ingegnere Lo Verde, verso la fine degli anni Settanta tra il 1978 e il 1980, quando accompagnai mio padre dal barbiere. In questo locale vidi in un giornale un identikit di Provenzano. Una conferma l’ho avuta dopo una brutta risposta di mio padre”.
“Papà – dissi – ho visto su Epoca un indentikit di uno dei più pericolosi latitanti, l’ingegnere Lo Verde è Provenzano. Lui mi disse soltanto: ricordati che da questa situazione non ti può salvare nessuno, neanche io. In quel periodo, tra la fine del 1978 e il 1980, Provenzano usciva assieme a noi, l’intera famiglia Ciancimino, e andavamo anche a mangiare la pizza. Spesso si andava – ha concluso Ciancimino – a San Martino delle Scale o a Baida”.