MONDO – Gli ultimi tempi hanno segnato gli aumenti di moltissimi beni e servizi, dapprima con le emergenze sanitarie, successivamente con quelle belliche; uno fra questi, quasi in maniera insospettabile, è stato quello sull’olio d’oliva, che ha subìto un forte incremento di una cifra intorno al 30% in più.
Olio d’oliva: quanti tipi, dove e come si sviluppa
L’olio d’oliva è un derivato dell’oliva, nonché il frutto dell’ulivo (nome scientifico Olea europaea); di esso non ne esiste soltanto una tipologia ma varie: Olio extravergine d’oliva o Evo, Olio d’oliva vergine, Olio d’oliva lampante, Olio d’oliva raffinato, Olio di sansa d’oliva ed altri tipi derivanti da questi.
La sua coltivazione si chiama olivicoltura, mentre il suo raccolto abbacchiatura; fondamentale ed imprescindibile per la produzione di olio è indubbiamente l’estrazione, tradizione plurimillenaria che si è evoluta fino ad oggi con il processo di centrifugazione.
La produzione per circa l’80% mondiale è derivante dal bacino mediterraneo, anche se esistono mercati minoritari, pur rilevanti in America ed Asia; non bisogna dimenticare gli usi alternativi connessi ad esso, cosmetica su tutte, piuttosto che i suoi effetti benefici sulla salute, come alimento e non.
Gli aumenti e le loro potenziali cause e conseguenze
Come riportato da gran parte degli addetti ai lavori di questo settore, le più nota e presumibile causa di questi aumenti di prezzo, potrebbe essere identificata con la problematica legata al clima presente ultimamente nelle regioni mediterranee, che ha portato ad una maggiore siccità, creando una conseguente diminuzione di quantità e quindi un maggior costo, a volte riducendone anche l’ottimizzazione del processo produttivo; proprio così commenta il presidente di Italia Olivicola Gennaro Sicolo alla nota agenzia di stampa italiana Adnkronos.
“Per la prossima campagna olivicola calcoliamo un rincaro del prezzo del 30–40% all’ingrosso, noi produttori venderemo a nove euro al chilo e sullo scaffale l’olio italiano sarà a dieci-undici euro al litro, con un 30% in più per il consumatore finale rispetto alla scorsa annata. Questo perché i costi di produzione sono lievitati a causa della siccità e in più per la mancanza di prodotto in tutta l’area del Mediterraneo”.
Tutto ciò indubbiamente porterà ad una maggiore ed ulteriore crisi dell’indotto di produzione agroalimentare come le regioni del Mezzogiorno, fra cui la Sicilia stessa, che già “soffrivano” la concorrenza di altri paesi mediterranei dentro il mercato, in un settore che da sempre viene ritenuto fra i più strategici riguardo il settore primario della regione.