ITALIA – Negare, negare e ancora negare, anche di fronte all’evidenza. Nel corso del ‘900 i primi negazionisti a ricusare la veridicità storica di fatti realmente accaduti e documentati furono degli sparuti individui che, all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, minimizzarono l’avvenuto Olocausto compiuto nel nome della propaganda nazista con lo sterminio di milioni di cittadini ebrei.
Una follia maturata e covata come fuoco sotto la cenere fino ai giorni nostri come degenerazione di matrice politica. Altri esempi di architettura negazionista nati nel corso dei decenni sono, sebbene con ‘pesi’ differenti a seconda della natura delle affermazioni, la mancata accettazione dello sbarco sulla luna, l’esistenza dell’Aids e la contestazione della forma geoidale della Terra.
Teorie strampalate e dalle fondamenta friabili, paradossalmente sviluppatesi in un’epoca segnata da straordinari progressi scientifici e dal facile accesso agli open data. Strumenti che, da soli, dovrebbero bastare a far cambiare idea anche il più ostinato degli scettici. Eppure, proprio le infinite possibilità di erudizione ed espressione dettate dal percorso evolutivo del XX secolo sembrano essere servite da cavallo di Troia per favorire il germoglio di simili posizioni irrazionali.
Come Don Chisciotte contro i mulini a vento
“Non ce lo dicono“, “deve esserci per forza qualcosa dietro” e “siamo in dittatura” sono le giustificazioni di chi, sui social network, impugna le proprie ferree convinzioni con la stessa mulaggine dimostrata da Don Chisciotte della Mancia nel voler infilzare i mulini a vento nella meravigliosa opera di Miguel de Cervantes. L’ultima frontiera del negazionismo esplorata in tempi recenti è quella legata alla proliferazione della pandemia da Coronavirus che da mesi sta martoriando l’intero pianeta.
In questo caso, purtroppo, a essere presi di mira non sono i macinatoi scambiati per pericolosi “giganti” dal visionario hidalgo spagnolo, bensì gli operatori sanitari che mettono a disposizione la loro vita per salvare quelle dei pazienti affetti dal grave virus e tutti coloro che continuano a seguire le opportune regole di comportamento per non ammalarsi, indossando le mascherine e rispettando il distanziamento sociale.
Medici e infermieri, “eroi” ieri e “terroristi” oggi
C’è chi, nel nostro Paese, ha preso a calci un’ambulanza etichettando come “terroristi” gli operatori che svolgevano il loro lavoro e chi ha addirittura ricoperto di ingiurie gli stessi pazienti affetti da Covid-19, qualificandoli come “attori“. Non meno preoccupanti le rappresaglie commesse da chi ha approfittato delle proteste mosse dai lavoratori che, temendo per le loro attività, sono scesi in piazza per dissentire sull’istituzione del coprifuoco normalizzato dal recente Dpcm. Dello stesso tenore gli incidenti compiuti a metà novembre dai cosiddetti “no mask” davanti la Porta di Brandeburgo a Berlino o i raduni non autorizzati del movimento Querdenken 711, sempre in Germania.
Impossibile tralasciare, poi, la contestazione dei dati ufficiali sull’andamento dei contagi e gli attacchi agli operatori dell’informazione, accusati di diffondere notizie false persino dal presidente USA uscente Donald Trump. Ma com’è possibile negare l’esistenza di una pandemia che, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha già colpito 70 milioni di persone e spezzato oltre un milione e mezzo di vite in tutto il mondo? Cos’è cambiato nell’opinione generale di molti?
Chi è il negazionista?
Per dare una risposta a questi e ad altri quesiti, NewSicilia.it ha voluto contattare la psicologa Ines Catania. In primis, abbiamo ritenuto opportuno comprendere perché un soggetto negazionista del Covid-19 – o complottista in generale – è fermamente convinto dell’esistenza di un disegno finalizzato a ‘terrorizzare’ la popolazione e privarla della libertà.
“Prima di poter dare una risposta a questa domanda – commenta la psicologa – dovremmo intanto definire chiaramente chi siano i complottisti e/o i negazionisti e poi stabilire le relative ripercussioni sul pensiero popolare. Infatti, a tal proposito, specificherei che il ‘negazionista’ letteralmente è colui che nega qualcosa. Qualcosa, ma cosa? Di seguito, poi, farei una distinzione importantissima in:
- Negazionista complottista, ossia colui che nega l’esistenza della pandemia e del Covid stesso, indicandolo come una macchinazione di regime per controllare i cittadini.
- Negazionisti libertari per i quali quel ‘qualcosa’ non è ‘il Covid’, ma la ‘pericolosità del Covid’. Anche molti medici ormai sono dell’idea che il Covid sia poco più di un’influenza per chi è in buona salute e ha un buon stile di vita.
Infatti, scientificamente, la mortalità del Covid è di circa dieci volte quella di una normale influenza e questo fattore moltiplicativo mette in crisi la salute di chi non è in buona salute e/o ha un cattivo stile di vita. Per cui, il terrorismo emergerebbe proprio per il primo gruppo descritto che, probabilmente, è animato da forme di controllo verso gli altri e e verso sé stesso smisurate“, aggiunge.
Una vita “scollegata” dalla realtà
Può esserci correlazione tra negazione della realtà che stiamo vivendo in questi mesi e difficoltà presenti nella sfera personale dei singoli individui? “Assolutamente sì“, commenta la psicologa. “Potrebbe esserci una forte e importante correlazione tra il negazionismo e difficoltà presenti nel soggetto. Anzi, preciserei, più che lo sviluppo di un disturbo post pandemia, parlerei di vulnerabilità già riscontrata nel soggetto. Vale a dire, la presenza già accertata di disturbi di derealizzazione“.
“In buona sostanza – prosegue – un individuo, che nega insistentemente la presenza del virus, è presumibilmente una persona che vive scollegata dalla realtà. Per cui, una persona che non è cosciente del proprio tempo, del proprio vivere, dei rischi e delle possibili conseguenze che può sperimentare durante questo momento così delicato. Tecnicamente li definirei ‘derealizzati’, cioè persone che presentano sintomi dissociativi consistenti nella sensazione di percepire in maniera distorta il mondo esterno a loro e, di conseguenza, sottovalutare ciò che li colpisce“.
Dalla paura alla disperazione
Molti ricorderanno che al momento della cosiddetta ‘prima ondata’ il negazionista agiva singolarmente e veniva spesso deriso, oggi al tempo della ‘seconda ondata’ ha trovato la ‘forza’ di scendere in strada – come avvenuto in occasione di alcune manifestazioni recenti – e di attaccare, anche fisicamente, chi non la pensasse come lui. Dai primi mesi del 2020 a oggi, come accennato in precedenza, qualcosa sembra essere effettivamente cambiato.
“Al momento della prima ondata si era tutti inconsapevoli. Non si conosceva, non si sapeva. Era stato seminato terrorismo mediatico e la gente era spaventata. L’opinione di un singolo non bastava a donare rassicurazione, consapevolezza o voglia di ribellione. Come si dice, una noce in un sacco non fa rumore“, risponde la dottoressa Ines Catania.
“Oggi, reduci dalla prima pandemia, dalle conseguenze derivate e dall’informazione contraddittoria che ci perviene, vi è un popolo confuso. E un popolo confuso, stanco e disincantato è più propenso a ricercare linee di demarcazione chiara, da un punto di vista psicosociale. È anche da sottolineare, che la crisi economica e l’impossibilità che talvolta sfocia in disperazione per i capi famiglia di non poter soddisfare le esigenze quotidiane dei figli, spinge a moti rivoluzionari“.
Il negazionismo è una malattia?
La biologa Barbara Gallavotti, ospite alla trasmissione di Giovanni Floris “DiMartedì” su La7 andata in onda il 10 novembre 2020, ha usato il termine ‘demenza’ in riferimento a quei soggetti che negherebbero l’esistenza del Covid-19. Il negazionismo può essere considerato una ‘malattia’ o si tratta di una definizione fin troppo azzardata?
La psicologa spiega che “la demenza, da un punto di vista strettamente psicologico e secondo manuale psichiatrico DSM, presenta delle caratteristiche molto peculiari e direi che, forse, è un termine troppo forte per definire la condizione e la convinzione di un negazionista. Detto, in termini più generali, assumerebbe un’etichetta alquanto negativa“.
“Preferirei non attribuire ‘etichette svalutative’ o al contrario migliorative e concentrarmi, più che altro, sul comportamento e sulla tendenza. E come spiegato prima, non parlerei di patologia riconosciuta e conclamata, quanto di una tendenza alla dissociazione e alla derealizzazione. Vale a dire, un discostamento totale dalla realtà, un disconoscimento di quella che è la situazione che interessa tutta la popolazione mondiale in questo particolare momento“, conclude la psicologa Ines Catania.
Foto di fernando zhiminaicela da Pixabay