CATANIA – Una ferita invisibile, un taglio netto che comincia a sanguinare in quello che dovrebbe essere il momento più felice della propria vita, si annida nel cuore della figura che rappresenta la fonte d’amore per eccellenza, la madre. Colei che ha atteso nove mesi per stringere tra le proprie braccia una creatura che, in tutta la sua piccolezza, stravolgerà la sua quotidianità, tra notti insonni, sorrisi, primi passi, capricci e ginocchia sbucciate. E che adesso si ritrova intrappolata in un vortice di paure, ansia, dubbi e stanchezza da cui risulta difficile uscire.
Ciò che è necessario capire è che dietro una forma di “repulsione” per il neonato che si è dato alla luce, non si cela una carenza d’amore e nemmeno – come accade alle donne più fortunate – una semplice alterazione dell’umore, ma una vera e propria patologia: la depressione post-partum.
Un disturbo subdolo che colpisce quando non ce lo si aspetta, come un fulmine a ciel sereno. Proprio come la notizia che la settimana scorsa ha profondamente turbato la comunità di Misterbianco (Catania), dove una madre – affetta da tale patologia – ha lanciato dal balcone la figlia di 7 mesi.
Cosa si cela dietro la depressione post-partum
Capire il meccanismo che sta alla base della depressione post-partum è il primo passo per scongiurare tragedie come quelle che di recente hanno visto protagonista la piccola Rosa Maria. Per questa ragione è intervenuta ai microfoni di NewSicilia, delineando un quadro completo della patologia, la dott.ssa Valentina La Rosa, psicologa, psicoterapeuta, assegnista di ricerca e docente a contratto di Psicologia dello Sviluppo all’Università di Catania.
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Cos’è la depressione post-partum e come si manifesta?
“La depressione post-partum – esordisce la psicologa – è un disturbo dell’umore che si manifesta dopo la nascita di un figlio, in genere entro le prime settimane o mesi dal parto. Non va confusa con il ‘baby blues‘, una condizione molto comune nelle neo madri e soprattutto transitoria, che si manifesta con umore instabile, pianto facile e ansia e che tende a risolversi spontaneamente nell’arco di poche ore o giorni. La depressione post-partum, invece, ha sintomi più intensi e duraturi: tristezza profonda, senso di colpa, perdita di interesse o piacere, difficoltà a dormire o mangiare, pensieri negativi verso se stesse o il neonato, fino ad arrivare, nei casi più gravi, a ideazioni suicidarie o fantasie aggressive. È importante sottolineare che si tratta di una condizione psicopatologica, non di una ‘mancanza d’amore’ o di una ‘debolezza del carattere'”.
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Ci sono soggetti più predisposti alla patologia rispetto ad altri?
“Ci sono certamente dei fattori predisponenti: una storia personale o familiare di depressione, esperienze traumatiche pregresse, mancanza di supporto sociale o relazionale e condizioni di stress cronico. Anche i fattori biologici, come i cambiamenti ormonali e neurochimici che si verificano dopo il parto, giocano un ruolo importante, ma non sono sufficienti a spiegare l’insorgenza della patologia. È l’interazione con i fattori ambientali – prosegue – a risultare determinante. Una gravidanza a rischio, ad esempio, può generare vissuti di paura, impotenza o isolamento che aumentano significativamente il carico emotivo. La salute mentale perinatale è il risultato di un equilibrio delicato tra corpo, mente e contesto”.
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Com’è possibile che un figlio, “oggetto d’amore” per eccellenza, diventi invece causa del malessere, e quindi “bersaglio d’odio”, di una madre?
“Questa è sicuramente una delle domande più difficili a cui rispondere, ma anche una delle più urgenti da affrontare senza cadere in facili moralismi. L’arrivo di un neonato – spiega la dott.ssa La Rosa – rappresenta un cambiamento radicale nella vita della madre: richiede cure costanti, può mettere a dura prova il sonno, l’autonomia e la percezione di sé e delle proprie capacità. In alcune donne, soprattutto se fragili o isolate, può emergere un senso di colpa ambivalente per non sentirsi ‘all’altezza‘ del ruolo materno, accompagnato da rabbia e frustrazione che, non trovando uno spazio per essere elaborate, possono essere proiettate proprio sul bambino. Parlare di questo significa rompere il tabù secondo cui la maternità sarebbe un’esperienza sempre e solo felice. Solo accettando anche il lato oscuro della maternità si possono davvero aiutare le madri che lo sperimentano”.
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Quanto influiscono la solidità della relazione col partner e la presenza di una rete di supporto familiare attorno alla madre?
“Molto. La qualità della relazione con il partner e la presenza di una solida rete di supporto – precisa la psicologa – sono fattori protettivi fondamentali. Non si tratta solo di un aiuto pratico, ma anche emotivo: sentirsi ascoltate, comprese e legittimate nella propria fatica è ciò che può fare la differenza. In una società in cui spesso la maternità è ancora considerata un traguardo naturale e gratificante, c’è il rischio che una donna in difficoltà si senta ‘sbagliata’, provando vergogna e rimanendo in silenzio. Un partner empatico e una rete non giudicante possono aiutarla a riconoscere i segnali di disagio e a trovare un percorso di cura”.
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Quali campanelli d’allarme chi le sta vicino non deve ignorare?
“Cambiamenti evidenti nel comportamento o nell’umore, difficoltà marcate nel legame con il neonato (rifiuto, indifferenza, evitamento), pianto frequente, pensieri negativi su di sé o sulla propria capacità genitoriale, ritiro sociale, insonnia persistente anche quando il neonato dorme. In alcuni casi, la madre può esprimere pensieri di fuga o morte. Non bisogna banalizzare o minimizzare questi segnali: è essenziale riconoscerli e accoglierli, incoraggiando la ricerca di un aiuto professionale, senza colpevolizzare la donna“, sottolinea Valentina La Rosa.
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Come deve comportarsi il partner e, più in generale, la rete familiare?
“Ascoltare senza giudicare è fondamentale. Evitare frasi come ‘Passerà’, ‘Devi solo riposarti’ o ‘Ma come fai a non essere felice?’. Queste risposte, seppur spesso pronunciate in buona fede, rischiano di isolare ancora di più la donna. È importante – aggiunge – che la donna riconosca il suo malessere come qualcosa di reale, legittimo e curabile. Bisogna accompagnarla senza forzare verso una figura professionale, offrirsi per aiutarla nelle incombenze quotidiane e, soprattutto, esserci con pazienza e presenza autentica“.
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Non lasciare sola la madre affetta da depressione post-partum non sembra sempre sufficiente. In che modo bisogna evitare che la patologia possa diventare una seria minaccia per il neonato, e per chi gli sta intorno?
“Non basta ‘esserci’, è necessaria una rete strutturata e competente. La depressione post-partum è una condizione che può avere gravi conseguenze se non viene trattata adeguatamente, sia per quanto riguarda la salute della madre che per quella del bambino. È necessario promuovere un approccio integrato che coinvolga la rete sanitaria territoriale: pediatri, medici di base, consultori, psicologi e psichiatri. È altrettanto fondamentale il riconoscimento precoce e la tempestività dell’intervento. La salute mentale materna – conclude la psicologa – è una questione di salute pubblica: tutelarla significa prendersi cura dell’intera comunità”.
Saper imparare a ricostruire
Se è vero quindi che la maternità rappresenta, nel bene o nel male, una fase di rottura nella vita di un genitore, ciò che poi si rivela fondamentale è imparare a ricostruire. Rimettere insieme i pezzi, e farlo passo dopo passo. Con l’aiuto di chi rallenta per stare al fianco dell’altro, di chi tende una mano dopo un momento di sconforto, di chi è pronto a fare il primo sforzo, a mettere un mattoncino sull’altro fino a costruire una torre, una casa o “impero”. Con la consapevolezza che il cuore smetterà di far male e che proprio ciò che adesso lo fa sanguinare, la presenza di un nuovo “mostriciattolo” in giro per casa, un giorno sarà l’unico in grado di farlo guarire da qualsiasi cosa.