Dal campetto allo schermo: come cambia il modo di giocare dei bambini

Dal campetto allo schermo: come cambia il modo di giocare dei bambini

Dove sono finiti i piccoli compagni di gioco, quelli che si davano appuntamento “dopo i compiti” o uscivano correndo con un pallone sotto il braccio? La risposta è semplice e complessa allo stesso tempo: oggi molti di quei bambini si incontrano in un’altra dimensione — quella del gioco virtuale.

Il luogo della socializzazione non è più (solo) il campetto o la piazzetta, ma uno schermo. Tablet, console, smartphone: strumenti che non servono solo a giocare, ma anche a “stare insieme” in modi nuovi, meno fisici ma non per forza meno intensi.

Si tratta di una trasformazione profonda, che coinvolge le modalità di relazione, il tempo libero, lo sviluppo personale e persino il concetto stesso di “infanzia condivisa”.

Ma cosa significa davvero per i ragazzini crescere senza il gioco all’aperto? E cosa trovano invece nel mondo virtuale? Per i bambini il gioco virtuale rappresenta un impoverimento della socialità o un semplice cambiamento culturale?

Per rispondere a queste domande e capire cosa stiamo guadagnando — e cosa, forse, stiamo perdendo — è intervenuta ai microfoni di NewSicilia la Dott.ssa Valentina La Rosa: psicologa, psicoterapeuta, assegnista di ricerca e docente a contratto di Psicologia dello Sviluppo presso l’Università di Catania, che ci ha aiutati ad analizzare come i bambini di oggi costruiscono le loro relazioni e quali effetti può avere, sul lungo periodo, la progressiva scomparsa del gioco libero e spontaneo all’aperto.

I bambini e il gioco virtuale: l’intervista

  • Negli ultimi anni il gioco all’aperto tra bambini e ragazzi sembra essere diminuito: secondo lei, quali sono le principali ragioni di questo cambiamento?

“Negli ultimi decenni, abbiamo assistito a una profonda trasformazione degli stili di vita delle nostre famiglie e delle nostre città. Oggi i bambini trascorrono meno tempo all’aperto per molte ragioni: l’organizzazione delle giornate sempre più strutturata, l’aumento del traffico e la mancanza di spazi sicuri in cui giocare, ma anche la crescente digitalizzazione del tempo libero”.

“Inoltre, molte famiglie vivono in contesti in cui le reti sociali di vicinato, che un tempo permettevano ai bambini di giocare liberamente in cortile o per strada, si sono indebolite. Tutto ciò ha ridotto le occasioni spontanee di incontro e gioco tra coetanei”.

Il gioco online può offrire comunque opportunità di relazione e apprendimento, oppure rischia di sostituire aspetti fondamentali del contatto reale tra coetanei?

“Il gioco online non è necessariamente un “nemico” da combattere. In molti casi, infatti, specialmente nell’adolescenza, può rappresentare un’importante occasione di socialità e cooperazione, nonché uno spazio creativo e motivante”.

“Tuttavia, non può sostituire completamente il gioco corporeo, il contatto visivo, la comunicazione non verbale e la capacità di risolvere i conflitti faccia a faccia. I legami “faccia a faccia” infatti stimolano lo sviluppo di empatia, autoregolazione e competenze sociali complesse che sono più difficili da esercitare in un ambiente digitale. È quindi una questione di equilibrio e non di demonizzazione“.

Come influisce sullo sviluppo sociale di un bambino il fatto di passare più tempo con lo schermo che con i coetanei in presenza?

“Un uso eccessivo degli schermi, soprattutto in età precoce, può influire negativamente sulle capacità di attenzione, sulla regolazione emotiva e sulle abilità comunicative. La ricerca suggerisce che il gioco sociale reale, che implica turni, regole, contatto fisico e gestione delle emozioni, resta insostituibile per l’acquisizione di competenze relazionali profonde”.

“Non si tratta solo del tempo trascorso davanti a uno schermo, ma anche di cosa si fa e con chi: c’è una grande differenza tra un videogioco violento giocato in solitudine e un gioco cooperativo online che stimola la collaborazione. Il problema nasce quando la dimensione virtuale diventa l’unica realtà”.

In alcuni casi i genitori temono per la sicurezza dei figli e preferiscono che restino a casa: quanto conta questo fattore nel cambiamento delle abitudini di gioco?

“Questo è un elemento cruciale. Molti genitori, anche comprensibilmente, vivono con ansia l’idea di lasciare i figli liberi di esplorare l’ambiente circostante“.

“I media spesso amplificano la percezione del pericolo, rendendo più difficile avere fiducia nel contesto esterno. Il risultato è quello di una “genitorialità protettiva” che, pur con le migliori intenzioni, può limitare l’autonomia e l’esperienza sociale dei bambini”.

“Tuttavia, sicurezza non deve significare isolamento: investire in spazi pubblici curati, supervisionati e accessibili può aiutare a ricostruire un tessuto sociale basato sulla fiducia, che permetta il gioco libero”.

È possibile trovare un equilibrio tra gioco virtuale e gioco reale? Che ruolo possono avere genitori, educatori e spazi pubblici in questa direzione?

“Sì ed è proprio questa la sfida educativa di oggi: promuovere un’ecologia del gioco che integri digitale e reale. I genitori possono offrire un modello positivo, proponendo esperienze condivise sia in natura che con la tecnologia e aiutando i figli a sviluppare un pensiero critico sull’uso degli strumenti digitali”.

“Gli educatori, dal canto loro, possono creare contesti che favoriscano il gioco libero e la socializzazione. Infine, lo spazio pubblico gioca un ruolo fondamentale: sono necessari progetti urbani che invitino alla socializzazione e che favoriscano l’incontro tra le famiglie, restituendo ai bambini il diritto di avere una città che li accompagni nel loro processo di crescita”.

Infine, a suo avviso, i bambini di oggi stanno davvero “perdendo qualcosa” rispetto alle generazioni precedenti, o stanno solo sviluppando modalità nuove per relazionarsi?

“Probabilmente entrambe le cose. È sicuramente vero che stanno sperimentando nuove e creative modalità di connessione: i bambini di oggi sono i cosiddetti “nativi digitali” e questo cambia il modo in cui costruiscono relazioni, apprendono e si esprimono. Tuttavia, non dobbiamo cadere nell’illusione che ogni cambiamento sia neutro”.

“Quando vengono meno il gioco libero, la natura, il contatto corporeo e la dimensione esperienziale, si finisce per perdere qualcosa. La sfida non è tornare al passato, ma costruire un presente in cui tecnologia e corporeità, virtuale e reale, non siano nemici ma alleati. È necessaria una cultura dell’infanzia che sappia ascoltare i bisogni reali dei bambini, al di là delle mode e delle paure”.