Uno dei topos più comuni della fantascienza vede l’uomo ibridato con le macchine. Oggi, sebbene alcune tecnologie lo consentano già in parte, c’è ancora molta strada da percorrere. Cosa fare nell’attesa? Il consiglio che Mark O’Connell, transumanista dichiarato, dà nel suo libro, Essere una macchina (Adelphi, traduzione di Gianni Pannofino), è quello di farsi ibernare e aspettare che il progresso raggiunga un livello tale da consentire all’uomo di emanciparsi dalla biologia, cioè di assicurarsi la vita eterna. Si sa, il corpo umano è incline al deterioramento, si ammala e nel giro di circa un secolo diventa un relitto, fino a morire.
La coscienza, tuttavia, rimane sempre quella, sempre “giovane”, da qui la speranza di poterla trasmigrare su un supporto fisico come se fosse un pacchetto di dati. O’Connell scrive: “[…] il transumanesimo è una versione dell’umanismo liberale proiettata verso le più gelide ed estreme frontiere delle sue implicazioni più paradossali“, in altre parole vede nelle macchine i “partner eletti” dell’umanità.
Danilo Zagaria, giornalista e futurologo, in un articolo su Forbes, Come diventare macchine e vivere felici, ritiene, citando O’Connell, che per poter raggiungere simili obiettivi occorrerà prima vivere nel periodo della “singolarità tecnologica”, ovvero il momento in cui le macchine daranno vita a una “rivoluzione copernicana permanente“, producendo innovazioni tecnologiche a un ritmo senza precedenti.
Al momento, nel deserto del Sonora, in Nevada, c’è un luogo dove si conservano corpi e teste mozzate. Si tratta, per l’esattezza, di 114 uomini, 40 donne e alcune decine di animali domestici che la Alcor Life Extension Foundation conserva in “criosospensione” per la modica cifra di 200mila dollari a corpo (80mila solo per la testa). Max Moore, presidente e CEO dell’azienda, ha promesso ai suoi “clienti” che prima o poi li riporterà in vita, magari sotto forma di cyborg. Vedremo; finora la maggior parte dei sogni dei transumanisti non è mai divenuta realtà.