MONDO – C’è un silenzio diverso oggi: Papa Francesco ci ha lasciati. Non sarà facile raccontare a chi verrà dopo di noi cosa sia stato davvero. Non basteranno i manuali di storia ecclesiastica, né le cronache ufficiali. Perché Francesco è stato, prima di tutto, uno spartiacque dell’anima.
Un’interruzione del respiro nella narrazione secolare del potere. Un grido sommesso, ma incessante, che ha attraversato le cortine di fumo delle istituzioni e ha puntato dritto al cuore della coscienza collettiva.
La fine di un pontificato diverso
La sua morte segna la fine di un pontificato che ha attraversato il nostro tempo con passo diverso. Né trionfale né remissivo: semplicemente umano. E proprio per questo, rivoluzionario.
Jorge Mario Bergoglio non è stato un Papa come gli altri. Non per quello che ha detto – la dottrina, in fondo, è cambiata poco – ma per come ha scelto di abitare il ruolo più alto della Chiesa con la sobrietà di chi non ha mai cercato un trono, ma una porta da aprire. Verso l’altro, verso gli ultimi, verso ciò che nel mondo – e nella Chiesa stessa – resta ai margini.
Non è stato un Pontefice infallibile. Ma nemmeno ha voluto esserlo. Ha preferito mostrarsi fallibile, esposto, stanco. Papa della realtà più che dell’ideale, della prossimità più che della perfezione. Ha scelto di non recitare, ma di restare. Di esserci. E oggi, nel giorno in cui il suo corpo ci lascia, è proprio quella presenza semplice che ci manca di più.
Non ha mai preteso obbedienza, ma offriva ascolto. Francesco ha posto domande, più che dare risposte. Ha messo in discussione la retorica della forza, la cultura dello scarto, l’ipocrisia di un certo cattolicesimo abituato a giudicare prima ancora di ascoltare.
Lo ha fatto senza proclami, ma con costanza. Nelle parole, nei gesti, nelle scelte piccole: vivere a Santa Marta, portare la borsa da solo, accorciare le distanze. Non solo simboli: segnali di un modo diverso di essere guida spirituale e capo di Stato.
Apertura al mondo
Ha portato il Vaticano dentro il mondo. Non nel senso delle alleanze o dei poteri, ma dei dolori. Migranti, povertà, disuguaglianze, guerra: Francesco non ha mai nascosto la posizione della Chiesa su questi fronti. Anzi, l’ha resa più chiara. Ha detto parole nette, quando tanti preferivano restare ambigui. Ha condannato le armi, le finanze speculative, il populismo che si traveste da fede. Lo ha fatto sapendo che avrebbe irritato molti. All’interno e all’esterno.
Non è stato il Papa della perfezione dottrinale, ma della tensione etica. Il suo è stato un pontificato di spinta, di apertura, di sollecitazione. Non ha scardinato i dogmi, ma ha rimesso al centro le persone. Non ha negato le regole, ma ha chiesto di guardare prima ai volti. Non ha riformato tutto, ma ha detto – e mostrato – che si può cominciare.
I limiti e l’eredità
Eppure non bisogna idealizzarlo. Francesco ha avuto i suoi limiti. Ha scontato resistenze interne fortissime. Ha deluso chi si aspettava rotture più nette. Ha parlato spesso di sinodalità, ma i processi avviati restano incompleti. Il suo stesso stile, a volte, è stato letto più come una testimonianza personale che come una linea strutturale.
Ma è proprio qui che sta la sua eredità. Nell’aver mostrato che il cambiamento, nella Chiesa come nella società, è fatto più di cammini che di svolte. Più di tentativi che di rivoluzioni. Che la misericordia – parola chiave del suo pontificato – non è un’eccezione, ma un metodo. E che la fede, per essere credibile, deve assomigliare il più possibile alla vita.
Con Papa Francesco se ne va una figura che ha saputo parlare a credenti e non credenti. A chi cercava Dio e a chi non lo cercava più. A chi stava dentro e a chi restava fuori. Con parole semplici, a volte spiazzanti, quasi mai scontate.
Ci lascia un uomo che non ha mai preteso di essere perfetto, ma che ha cercato di essere vero. In un mondo – e in una Chiesa – che spesso preferisce l’apparenza alla verità, questa è forse la sua eredità più grande.
Lo stesso passo
Ora che il suo pontificato si è concluso, sta a noi capire cosa farne. Se archiviarlo come un’interessante parentesi o assumerlo come uno stimolo. Perché la storia della Chiesa – e più in generale della convivenza umana – ha bisogno di chi indica un sentiero, anche senza arrivare alla meta.
Francesco quel sentiero lo ha tracciato. Con passo lento, ma deciso. E con lo sguardo rivolto, sempre, verso chi restava indietro.
Forse, un giorno, lo racconteremo così: “C’era una volta un Papa che non voleva comandare, ma servire. E per questo ha cambiato il mondo“.
E in questo momento, in cui tutto sembra più fragile – la democrazia, la pace, il senso stesso di comunità – la sua assenza sarà un vuoto. Ma forse anche una chiamata. A fare la nostra parte. Con lo stesso passo. Lento, ma giusto.