Cronaca di vita vera. Tre parole possono bastare alla mano che sfoglia le pagine di un romanzo quasi diario, forse biografia, un bisogno di libertà emotiva simile a una confessione nei pressi di un altare.
Prima la madre, dopo la figlia. La natura cronologica della vita umana rispetta la chiusura del cerchio dell’Amore di due, solo due compagne di viaggio. Se così non fosse, l’ordine inverso sarebbe manchevole di sentimenti maturati nei giorni in cui il coraggio maestro sfida le altezze più rischiose.
La cronaca traslata in un romanzo a firma di Federica De Paolis interroga la memoria che da brava allieva dimostra una conoscenza cristallina del passato molto remoto.
Federica scrive della madre, una donna bellissima dai capelli d’oro, elegante nei gesti e nello stile dai quali però si intuisce l’identità in esilio in un altrove sconosciuto a tutti.
Nella memoria abbandonata nelle case in cui madre e figlia hanno vissuto, il lettore assiste al rigurgito di brevi felicità interrotte da dolorosi momenti allungati nelle notti senza fine.
Una figlia diventa donna proprio in quelle case dentro cui si consumava l’inno alla bellezza di una chioma dorata davanti a un telefono muto.

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“Mia madre sedeva sempre accanto al telefono, lo vegliava come una sentinella. La ricordo alle prime luci dell’alba appollaiata sul divano, stretta in un accappatoio bianco mentre succhiava le sue Muratti, avvolta nel fumo e nell’attesa. L’odore di nicotina era la prima cosa che sentivo sgusciando fuori dalla mia camera da letto. Percorrevo il corridoio domandandomi chi avrei trovato di fronte a me: che tipo di donna, di umore? Briosa, propositiva, oppure anchilosata dall’insonnia, con gli occhi annacquati dai pensieri?”.
L’amore corre sul filo di una segreteria telefonica senza voce di un uomo allergico a un rapporto di coppia. In due non saranno mai, lei e l’ingegnere temuto per i suoi scatti violenti nelle mura domestiche.
Lui è un “dopo padre” nella vita di una donna-madre-bambina con una sigaretta in mano davanti a un telefono avaro di suono e avvilito dal fumo che appanna l’atmosfera borghese di una casa sterile di promesse. Le madri conoscono il pericolo di contagio delle parole lasciate appassire sulle labbra vestite a festa. L’avaria emozionale trasloca in una figlia imbrigliata nelle dinamiche della crescita, da quelle labbra rosse di passione per l’uomo sbagliato si aprono profondi squarci dell’equilibrio emotivo di Federica.
In questo contesto altalenante tra l’inseguimento del sogno e un mai inoltrato negli anni, l’anima della penna biografa si trascina dietro il riflesso della madre. Amori, tradimenti, gelosia fanno da colonna sonora ad alto volume nelle orecchie di Federica troppo figlia per scegliere di allontanarsi dalla coperta d’amore che un tempo fu per lei grembo.
“Mio padre chiamava quasi tutte le sere, ma non avevamo granché da dirci. Non ero dispiaciuta per la separazione. Il mio mondo era mia madre, mi sentivo al mio posto solo accanto a lei. Speravo solo che smettesse di piangere e ricominciasse a vivere”.
Non c’è traccia di goccia di miele sui passi tortuosi della sua adolescenza. Federica non risparmia e non omette la realtà fredda come una lama tagliente.
Lontano dalle aule di un tribunale la ragazza attiva una denuncia nella narrazione del logorio del suo tempo privato di ogni profumo di vita. Troppe paure si fanno largo nell’età dei primi amori, gli stessi che le daranno calore quando si troverà in disparte dalle vibrazioni del mondo.
Federica vive di veglie assonnate che le impediscono di allungare il passo. Oltre le porte aperte del carcere psico-fisico senza sbarre non lascerà traccia, furiosa è la vertigine che l’ha resa esausta. I pensieri non le danno tregua, ancora non sa di aver ascoltato per anni un disco rotto, Federica è il collante che cura, sana, ripara. In silenzio l’indugio delle emozioni sottratte alla loro naturale espressione servirà il riscatto della parola assopito in un letto con troppi cuscini.
Bionda, bellissima e uno sguardo che confessa fragilità occultata dalla passione verso il Fisico, l’angelo con la coda letale come un virus nelle vene di una donna. Lui è alto, bello, solo muscoli e niente cuore, un ex marito di una ex moglie non vuole saperne di essere anello di catena affettiva per la seconda volta. Lui è malattia allergica alle cure perché conosce uno per uno tutti i nodi della tela-calamita della sua preda.
“Da parte di madre” la vita si compie camminando con il tacco 12 lungo una strada sconnessa. Federica assolve con distacco l’afflato materno dal quale, però, prende le distanze con dolorosafermezza.
Troppi non detti hanno dato asilo a un commercio di fiumi di silenzi direzione mare-maestro dell’unica verità che conta: l’Amore. Il sentimento sul trono dei rapporti resiste alle pressioni del senso della vita ravvisabili nella colpa che ha trasformato il desiderio in macchia da nascondere nel cassetto del peccato.
“La complicità tra me e mia madre era un dato certo: non servivano parole per sancire l’appartenenza alla stessa squadra, eravamo io e lei, poi c’era il resto del mondo. Questo era valso anche nei tempi della vita matrimoniale: sembrava che mio padre la reclamasse in un rapporto esclusivo e lei gli lasciasse intendere che fosse così, ma io sentivo che la nostra pervasiva sintonia sentimentale era superiore a tutto”.
Trent’anni di vita insieme all’Amore che un tempo fu casa di un cordone ombelicale resistente ai disegni della vita lontano dal grembo vacante. Al cospetto della parola Madre il liquido lacrimale smuove la memoria sensibile al richiamo dello sguardo traboccante di Luce. Non è norma applicata da tutti i frutti nati dallo stesso ramo, ma l’Arbitro Celeste dell’ultimo grado di giudizio sarà Maestro per una ritrovata coscienza.