Un romanzo giallo presentato al Premio Strega non può non accendere faville di curioso interesse dagli addetti ai lavori. È storia recente dell’ultima edizione del prestigioso Premio che il romanzo “Chi dice e chi tace” della scrittrice Chiara Valerio ha raggiunto l’ambita opportunità di salire sull’eremo esclusivo dei dodici finalisti del prezioso riconoscimento. Chiara è una giovane scrittrice amica dell’intellettuale anima in cielo Michela Murgia, scrittrice per esasperazione del dono di una coscienza libera da maschere che ne alterano l’autenticità.
Il colore attraverso cui il libro è stato annunciato anticipa il contenuto della storia ma non lo definisce completamente. Ogni giallo conclamato senza remore protegge nel nucleo inaccessibile agli occhi sfumature più o meno decise che distraggono la storia gremita di virtù nascoste.
“Chi dice e chi tace” recita il titolo stranamente vicino a un detto popolare, forse adottato per gentile concessione di una consuetudine generosa.
A Scauri, un paesino in provincia di Latina affacciato sulle acque del Tirreno che nei mesi estivi raddoppia le anime affamate di Sole, il blu del mare contagia la copertina del libro le cui pagine si seppelliscono da sole nella sabbia color oro, di un giallo raggiante. Scauri è il paese natale di Chiara Valerio “dove uomini e donne osservano gli altri, lasciandosi osservare“, dove nessun segreto ha mai trovato labbra sulle quali far riposare un giorno di silenzio.
“Tutti facevamo sempre le stesse cose. Tutti sapevamo tutto di tutti. Tutti ci accontentavamo di ciò che avevamo davanti agli occhi. Tutti attribuivamo un certo valore alla forma. Tutti sapevamo, per l’abitudine a passare e spassare sul lungomare, che le petroliere e i mercantili, fermi per settimane all’orizzonte oltre la punta di Gaeta, se avessero avuto un’altra forma, fossero stati cubi di ferro pieno, sarebbero affondati. Tutti sapevamo tutto di tutti. Tutti facevamo sempre la stessa cosa. Era facile trovarsi, è facilissimo evitarsi“.
Una donna viene trovata morta nella sua vasca da bagno. Dalle prime indagini, accertamenti e rilievi emerge la fatalità di un incidente domestico, uno come tanti registrati ogni anno nell’elenco indaffarato in un instancabile aggiornamento. Vittoria, questo è il nome della donna ingannata dalle acque nella sua privata ed intima oasi di quiete.
Il paese la ricorda con parole chiave sulla sua personalità non proprio cristallina. Vittoria non viveva da sola. Una donna, Mara, condivideva con lei un rapporto non ben specificato se non addirittura ritenuto oggetto di pettegolezzo da qualche conversazione avvezza all’impulso schietto nella piazza del paese.
Di Vittoria noi sappiamo solo “quel che si dice”. Il sospetto sulla vera causa della morte di una donna viene taciuto dalle ricamatrici di storie a tinte forti mentre le braccia della gente pavida rimangono conserte.
Lei no. L’ avvocato Lea Russo interroga le risposte latenti sulla tragica fine di Vittoria. Oltre il visibile si nascondono indizi sottovalutati dalle prime indagini, tutti o quasi scartati con forza da dettagli manomessi da coscienze sinistre.
Lea, amica di Vittoria, riconosce in quella vasca da bagno una palude intrisa di passato ed è proprio da quel finto silenzio del tempo creduto morto che l’indagine dovrà ripartire.
E adesso il giallo cambia vestito nella narrazione del paesaggio fratello sensibilmente connesso col mare. Scauri appartiene al Lazio ma fa capolino alla regione Campania. L’intero perimetro delle due figlie naturali della penisola si snoda in un lungomare disteso tra lidi dai nomi colorati e oleandri enfatizzanti l’atmosfera mediterranea.
La singolare formazione strutturale di un romanzo giallo corredato di morte concede un impensato spazio al profumo del vissuto prima della macabra fine.
Chiara Valerio dà una possibilità al rewind della storia, certa che la Verità sarà rivelata dalla vita stessa quando questa era ancora in pieno, vivo fermento. A respiro spento può solo palesarsi il tugurio del corpo elaborato da un’arma e due mani durante la notte.
Le indagini condotte da Lea alzano il sipario su una Scauri (chi l’avrebbe mai detto?) piena di ombre messe a soqquadro da ricordi convertiti in racconti di abitanti portatori di una carta d’identità con troppi inverni. Dietro il sigillo raggiante della verità si nasconde quasi sempre una luce fiduciosa di scrivere con occhi nuovi pagine di vita ricoperte ancora per poco da polvere divenuta allergica all’ozio; nient’altro che vizi e virtù di un giallo migrante per realtà richiamate al compito di alleggerire il peso di pagine tachicardiche con lo stesso effetto di una scellerata sequenza di tre caffè.
“Era un rompicapo. Non che cos’è la verità, ma quando è la verità. Quando una cosa è vera e quando smette di esserlo o quando è falsa e diventa vera. Insomma, la verità rispetto al tempo non vale niente“.
Una finestra esperta in dinamiche vedute la narrativa di Chiara Valerio con voce protagonista delle emozioni incaricate di leggere la solitudine gravida di pregiudizio. Notizia usurata quella che in prima linea lotta “chi dice” ma il vero guerriero è quasi sempre “chi tace”.