Ogni qualvolta si verifica una rottura “andare a vedere cosa sta facendo l’altro può fare molto male”, afferma il sessuologo Fabrizio Quattrini che, nel suo libro Parafilia e Devianza, ne sviscera i motivi.
“Spiare induce dipendenza e rallenta la possibilità di riprendere in mano sé stessi dopo una rottura. Spiare t’inchioda, ti tiene al palo. Non fa elaborare il lutto. Il consiglio è, invece, interrompere bruscamente, privarsi di ogni possibilità di guardare. Sui social puoi bannare, cancellare, bloccare i contatti. Sono gesti importanti che hanno sia un valore simbolico che una funzione concreta: ti impediscono di cadere nella trappola del controllo”.
In pratica, come scrisse a riguardo il reporter Maureen O’Connor sulle pagine del New York Magazine, “vinci” quando smetti di preoccupartene, quando raggiungi la consapevolezza di essere stato abbandonato, che quella persona è metaforicamente “morta” e niente e nessuno potrà più riportarla in vita. La rete, invece, con la sua moltitudine di significati, porta avanti all’infinito relazioni che nella realtà non hanno più nessun riscontro.
Una persona sana, allora, si chiederebbe: se non esiste più alcun nesso tra mondo reale e virtuale, perché dovrei continuare a tenere un legame nel secondo quando questo è, o dovrebbe essere, solo uno specchio del primo?
La psicoterapeuta Monica Morganti spiega i meccanismi che scattano nell’ippocampo (parte del cervello inerita nel sistema limbico), dettati principalmente da due motivi: il primo consiste, ovviamente, nella speranza di mantenere un collegamento con la persona amata, in altri termini nel vano e illusorio tentativo di continuare ad esercitare una specie di “territorialità” sull’ex; il secondo, quello che si propina ad amici e parenti, per una questione d’immagine connessa alla necessità sociale di apparire “forti” e “superiori”, ma così facendo le vittime del distacco emotivo non fanno altro che cadere in loop, da un lato gratificante perché permette di credere di avere ancora il controllo, dall’altro una vera e propria dipendenza, spesso sublimata a disturbo ossessivo-compulsivo.
“La curiosità dell’altro – assicura l’esperta – è normale. Quando diventa ansia di controllo e verifica, invece, è un sintomo di disagio profondo. Siamo già in una dimensione nevrotica: incapacità di accettare l’abbandono e il rifiuto, scarsa autostima. Non è che inizi a spiare l’ex perché c’è Facebook, ma perché stai male. I social network non sono la molla, rendono solo tutto più facile”.
Dunque, la prima cosa da fare è eliminare, bloccare. Dopo, fare lo stesso dalla propria mente. I social danno l’illusione che sia ancora tutto lì, quando in realtà, conclude Franco La Cecla, antropologo, “vedi ciò che l’altro ha voluto pubblicare, magari proprio con l’intento di farti soffrire, tenendoti al cappio; è un teatrino, una “simulazione”. Un’aria cimiteriale, mista a una patina di nostalgia, avvolge ogni cosa. Guardi dal buco della serratura, ma la porta è chiusa e non hai la chiave. Non è una vera via di accesso all’altro”.
Meglio, quindi, smetterla di stare su Internet e, a lutto elaborato, provare ad aprire altre porte, il cui lucchetto si apre con una rinnovata autostima.
Alberto Molino