L’incidenza dell’anemia in gravidanza, che varia dal 22% nei paesi sviluppati al 56% nei paesi in via di sviluppo, ne fa un Global Health Problem. È quindi importante diagnosticarla e curarla poiché disponiamo di test diagnostici e trattamenti efficaci.
Durante la gravidanza si ha una fisiologica riduzione del valore emoglobinico che è espressione di un incremento discrepante tra il volume plasmatico, il cui aumento è valutabile nel 50%, e l’aumento della massa eritrocitaria valutabile nel 25%. Tale condizione era conosciuta già nel medioevo con il termine plethora gravidarum.
I valori di emoglobina che definiscono l’anemia sono controversi e variano in funzione dell’età gestazionale. L’Organizzazione mondiale della sanità la definisce come un valore dell’emoglobina < 11 g/dl o un valore dell’ematocrito <33% a prescindere dal periodo di gravidanza definendo, nel contempo, come anemia grave un valore dell’emoglobina <7g/dl ed anemia molto severa un va- lore <4g/dl.
Il Center for Disease Control and Prevention definisce l’anemia in gravidanza con un valore di Hb <11g/dl o un ematocrito <33% durante il 1° e 3° tri- mestre ed una emoglobina <10.5g/dl o Ht <32% nel corso del 2° trimestre. Per l’Acog si definisce anemia in gravidanza il riscontro di valori di Hbo Hct inferiori al 50 percentile rispetto alla popolazione sana e definito come inferiore a 11 g/dl o 33% rispettivamente nel primo trimestre, a 10,5 g/dl o 32% rispettivamente nel secondo trimestre e a 11 g/dl o 33% rispettivamente nel terzo trimestre.
Nel Regno Unito è considerato normale per le donne in gravidanza un valore maggiore o uguale a 11 g/dl nel I trimestre e a 10,5 g/dl nel II e III trimestre.
Esiste un rischio aumentato di esiti neonatali sfavorevoli associati a valori di emoglobina molto bassi (<8,5 g/dl).
L’anemia è un importante fattore di rischio di morbilità sia per la madre sia per il feto. Bambini nati da madri ferro carenti dimostrano un ritardo nell’apprendimento e nella memoria, che può persistere nella vita adulta. Sempre nell’ambito delle condizioni carenziali il deficit di acido folico non solo è responsabile di uno stato di anemia ma è correlato con un’aumentata incidenza di anomalie del tubo neurale. Infine, uno stato carenziale materno di vitamina B12 (cobalamina), incide anch’esso sulla crescita e sviluppo associandosi ad un aumentato rischio di bassa massa magra ed incremento dell’adiposità, aumentata resistenza all’insulina ed alterato sviluppo neuronale. La gravidanza risulta a rischio aumentato di preeclampsia, abrutio placentae ed emorragia post partum.
Anche per l’aumentato fabbisogno di ferro che caratterizza la gravidanza, rende la sideropenia la causa più comune di anemia in questo periodo (più del 70%) anche se le emoglobinopatie ereditarie costituiscono una causa di crescente rilievo.
La sideropenia rappresenta la carenza alimentare più diffusa al mondo, presente sia nei paesi in via di sviluppo che in quelli industrializzati. Interessa il 25% della popolazione del pianeta, circa 2 miliardi di persone ne sono affette (Oms). È un problema di genere: in età fertile le donne sono circa 10 volte più̀ soggette a svilupparla, mentre attorno ai 55 anni si raggiunge la parità fra i sessi. La necessità di ferro durante la gravidanza, che diminuisce nel I trimestre per l’amenorrea gravidica e la scarsa richiesta da parte del prodotto del concepimento del minerale, aumenta nel II e III trimestre con un massimo dopo 30 settimane.
Al depauperamento delle riserve materne in gravidanza contribuiscono: 350-400 mg di Fe che passano nei depositi fetali, 150 mg che si accumulano nella placenta, 175 mg che vanno perduti con la normale emorragia da parto. Queste richieste tendono ad aumentare gradualmente da 0.8 mg al giorno durante il primo trimestre a 7.5 mg al giorno nel terzo trimestre.
Da un punto di vista pratico, in caso di anemia e mancata risposta a una supplementazione di ferro di almeno 30 giorni, il dosaggio della ferritina è il test più sensibile e specifico per valutare l’entità delle riserve di ferro e stabilirne la natura sideropenica (con un valore soglia di 10 ng/ml, la sensibilità̀ è del 90%). La supplementazione del ferro per os è il trattamento di prima scelta per cura- re l’anemia e ristabilire le riserve marziali (RCOG 2015). È economico, sicuro ed efficace.
La dose giornaliera raccomandata varia da 60 mg/die a 120 mg/die di solfato ferroso, in relazione alla gravità dell’anemia (Raccomandazione Oms), somministrata lontano dai pasti poiché i sali di ferro vengono assorbiti di meno se legati agli alimenti.
La terapia può essere limitata da effetti collaterali gastrointestinali (pirosi, dolori addominali, nausea, costipazione e feci di colore scuro) che può attenuarsi iniziando il trattamento con piccole dosi quotidiane, aumentandole progressivamente fino ad ottenere la quantità̀ prescritta, oppure raggiungere il dosaggio con più̀ somministrazioni al giorno.
Il trattamento marziale endovena è indicato quando la somministrazione per via orale sia insufficiente o scarsamente tollerata. Questa modalità di trattamento può determinare nello 0.2 – 3 % reazioni anafilattiche anche ad esito letale. La somministrazione intramuscolare è stata abbandonata.