CATANIA – Maxi-operazione della Guardia di Finanza contro un presunto sistema di frode fiscale. In dodici province italiane, compresi i territori di Catania, Caltanissetta, Messina, Siracusa, Ragusa, Trapani, Cosenza, Vibo Valentia, Napoli, Roma, Viterbo e Varese, sono stati eseguiti arresti e sequestri di beni per oltre 8 milioni di euro, nell’ambito di un’indagine coordinata dalla Procura della Repubblica di Catania.
L’inchiesta ha portato a misure cautelari per 15 indagati: due sono finiti in carcere, quattro agli arresti domiciliari e nove sono stati colpiti da misure interdittive. A questi si aggiungono altre 14 persone sotto inchiesta. Gli accusati sono sospettati di associazione a delinquere finalizzata all’emissione di fatture per operazioni inesistenti (FOI), dichiarazioni dei redditi fraudolente e indebita compensazione di crediti fiscali inesistenti. Le società coinvolte, 28 in totale, sono state sottoposte a sequestro preventivo, insieme a disponibilità finanziarie e beni immobili e mobili per un valore complessivo di oltre 8,2 milioni di euro.
Le indagini, svolte attraverso intercettazioni telefoniche e ambientali, verifiche bancarie e acquisizione di documenti, avrebbero messo in luce un sistema sofisticato di frode fiscale, mirato a ridurre i costi delle aziende tramite false esternalizzazioni di manodopera. Tale schema prevedeva la creazione di consorzi di imprese, come il Consorzio Logatrans (con sede legale a Roma) e il Consorzio In&Out (con sede a Firenze), oltre a numerose società consorziate situate in diverse province, da Milano a Messina. Queste entità giuridiche, con ciclo di vita breve, si sarebbero accumulate debiti tributari senza onorarli, lasciando allo Stato milioni di euro non riscossi.
Queste società, guidate formalmente da prestanome, agivano come “serbatoi di manodopera”, assumendo molti lavoratori provenienti dalle aziende clienti e rimettendoli a disposizione di queste ultime con contratti di appalto fittizi. In pratica, i dipendenti non cambiavano né sede di lavoro né mansioni, continuando di fatto a lavorare per il datore di lavoro originario. Tale sistema permetteva alle aziende clienti di risparmiare sui costi di lavoro e sulle tasse, oltre a detrarre l’IVA sui presunti servizi ricevuti, falsificando di fatto le spese aziendali.
Per i promotori della frode, tra cui spiccano il commercialista Antonio Paladino e il suo collaboratore Gaetano Sanfilippo, il sistema garantiva enormi profitti grazie al mancato pagamento delle imposte. Operavano principalmente da Catania, nel loro studio di via Napoli, benché le società consorziate avessero sedi legali in diverse province italiane, spesso in indirizzi inesistenti o locali vuoti. Tra i principali collaboratori del duo si trovano Sergio Riitano, con il ruolo di responsabile per la rete commerciale in Calabria e Lazio, e Giuseppe Paparatto, attivo nelle strutture ricettive calabresi e promotore di clienti per i consorzi. Altri collaboratori, come Mariangela Granvillano e Simonetta Massimi, gestivano i rapporti con i clienti e i contratti con le “teste di legno” dei consorzi.
Il meccanismo di frode era ulteriormente agevolato dall’utilizzo di società cartiere: queste emettevano fatture false per acquisti mai avvenuti, permettendo al consorzio di compensare i debiti tributari con crediti IVA inesistenti. Con questo stratagemma, le società del consorzio riuscivano a ottenere certificati di regolarità contributiva (DURC) che attestavano, in modo ingannevole, la correttezza dei versamenti fiscali e contributivi, requisito essenziale per operare legalmente.
Secondo le stime della Guardia di Finanza, negli ultimi cinque anni questo sistema di frode ha generato fatture false per oltre 56 milioni di euro e una evasione IVA di oltre 13 milioni. Gli illeciti profitti accumulati dall’associazione a delinquere supererebbero gli 8 milioni di euro, distribuiti tra i promotori della frode sotto forma di compensi, stipendi e rimborsi spese.
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