A poche ore dal via della sedicesima edizione dei Campionati del Mondo di atletica leggera a Londra, vediamo gli atleti siciliani che sono saliti sul podio in questa rassegna iridata. In tutto sono stati sedici gli atleti che hanno rappresentato la Sicilia nelle quindici edizioni passate. Questo il riassunto dei nostri: quarantadue le presenze; quattro le medaglie, due d’oro e due d’argento; sei volte in finale.
Un capitolo intero va alla nostra amata Anna Rita Sidoti, lo «scricciolo d’oro» di Gioiosa Marea che ci ha lasciato il 21 maggio 2015, doveva compiere 46 anni il 25 luglio, tra lo sgomento e il dolore di tutti noi. Una vera leonessa, colonna della marcia italiana femminile, 47 presenze in azzurro; campionessa mondiale; due titoli europei all’aperto, Spalato 1990 a 21 anni e Budapest 1998, uno al coperto, Parigi 1994. La sua grinta, la sua tenacia e quel sorriso che le illuminava il volto, sono entrati nel cuore di tutti. Ai Mondiali sei le sue presenze: sui 10 km, nona a Tokyo 1991 (44’18”) e a Stoccarda 1993 (44’13”); tredicesima a Göteborg 1995 (44’06”); medaglia d’oro ad Atene 1997 (42’55”49 su pista); sui 20 km, ritirata a Siviglia 1999 e ottava ad Edmonton 2001 (1.31’40”). La vittoria di Anna Rita ad Atene nel 1997 stupì il mondo intero, il secondo oro femminile per l’Italia nella storia della rassegna iridata, dopo quello di Fiona May nel lungo a Göteborg. Da riserva in panchina all’oro in una marcia trionfale allo stadio Panathinaikos. Adesso che Anna Rita non è più con noi, ci commuovono intensamente, quasi a risentirle, le sue prime parole dopo la fantastica gara: «Non ci credo, non ci posso credere! Ho preso in mano il destino e dato un cazzotto al mondo e alla sfortuna». Questo il commento di Pino Clemente: «Gli Dei Olimpici hanno deciso di premiare con una medaglia dal valore inestimabile, la campionessa più lieve di tutta la variegata popolazione dell’atletica leggera di caratura mondiale. La Sidoti ha dominato dal primo all’ultimo metro, le avversarie russe e bielorusse sono state frullate da quel vortice inarrestabile di passi frenetici».
Giuseppe Gibilisco segue Anna Rita con cinque presenze ai Mondiali, alla pari di Giuseppe D’Urso e della triplista Simona La Mantia: nell’asta in qualificazione tre nulli a 5,30 ad Edmonton 2001; oro a Parigi-St Denis 2003; quinto ex-aequo ad Helsinki 2005 (5,50); settimo pari merito a Berlino 2009 (5,65); di nuovo senza misura in qualificazione a Mosca 2013. Il 28 agosto 2003 è il Giorno dei Giorni per il siracusano, nel grande Stade de France, due falli a 5,75, rimane l’ultimo tentativo e, amante del rischio, passa a 5,80 con un’altra asta più dura, consigliatagli da Vasily Petrov, altezza superata, poi davvero grande con 5,85 e 5,90 alla prima prova. Il saltatore ripete così l’exploit che gli era riuscito al Golden Gala di Roma, superare il primato italiano due volte nella stessa gara, merce assai rara in un mondiale. Primo titolo di un italiano in gare «globali», dietro di lui Okker Brits (Sud Africa), Patrick Kristiansson (Svezia) e Dmitri Markov (Australia), nell’ordine, tutti con 5,85.
Brillanti le medaglie d’argento di Giuseppe D’Urso e Vincenzo Massimo Modica. Il catanese negli 800 metri fa la sua prima apparizione a Tokyo 1991, quarto in batteria (1’46”82); argento a Stoccarda 1993; in batteria ancora quarto a Göteborg 1995 (1’47”43) e ritirato ad Atene 1997; sui 1500 14° in batteria a Siviglia 1999 (3’50”71). D’Urso, nel glorioso Neckarstadion, ristrutturato per l’occasione e ribattezzato Gottlieb-Daimler-Stadion, il 17 agosto 1993, una data che rimarrà scolpita nel palmarès dell’atletica italiana, giustizia in volata il favorito Billy Konchellah – il lungo Masai che aspirava alla tripletta mondiale dopo Roma 1987 e Tokyo 1991 – finito solo terzo, ma soccombe all’altro keniano, la lepre Paul Ruto, 1’44”86 contro 1’44”71. Alla prima grande finale della sua vita, il nostro campione non si perde d’animo, Ruto schizza via allo sparo, l’azzurro è quinto alle spalle degli inglesi Curtis Robb e Tom McKean, il canadese Freddie Williams, dietro il campione olimpico William Tanui, mentre il favorito Konchellah trotta nelle retrovie. Ruto passa ai 400 in 51”22, ai 600 parte Williams per poi spegnersi, D’Urso corre all’esterno, alla sua sinistra gli inglesi e Tanui. Volata da favola, l’azzurro compie il capolavoro negli ultimi 120 metri, si beve gli avversari, da quarto passa a secondo, Ruto è a tiro. Konchellah si scuote ma il catanese tiene e resiste al ritorno del «principe masai». Strappa con i denti l’argento, soltanto quindici centesimi lo separano da Ruto e appena tre lo riparano da Konchellah (1’44”89). Giuseppe dopo l’arrivo è incredulo, quasi non si capacita, ma non si deve svegliare da nessun sogno, quel gradino in cima all’élite mondiale gli appartiene di diritto. L’amico Andrea Benvenuti in tribuna piange, era crollato a terra in batteria dopo 230 metri di gara per una microfrattura al piede sinistro.
Nella storia del mezzofondo veloce quattro italiani sono saliti sul podio ai Giochi Olimpici o ai Campionati Mondiali: Emilio Lunghi, Luigi Beccali, Mario Lanzi, Giuseppe D’Urso. Claudio Colombo sul Corriere della Sera definì l’argento di Giuseppe D’Urso: «Un sorso d’aria pura». E Andrea Schiavon sulla rivista «atletica» scrisse: «Pensate a come sarebbero otto corsie che, partendo da Emilio Lunghi e Mario Lanzi e passando per Marcello Fiasconaro, Donato Sabia e Andrea Longo, arrivassero sino a Giordano Benedetti. In questa gara della memoria due corsie buone, di quelle centrali, spetterebbero di diritto a Giuseppe D’Urso e Andrea Benvenuti, due campioni dalle vite parallele».
Vincenzino Modica, 28 anni, poliziotto, ritiratosi alla maratona di Atene 1997, due anni dopo a Siviglia è stupendo, è sua la quarta medaglia della spedizione azzurra, il terzo argento. È il più coraggioso di una squadra che vince la Coppa del Mondo, in casa di una superpotenza della maratona, la Spagna, anche se adombrata dall’EPO. Per Massimo Magnani, responsabile degli azzurri: «Modica è stato grandioso, il motore è buono, ora è migliorato il pilota». All’ultimo passaggio tra le guglie e gli azulejos di plaza de Espagna, il giapponese Nobuyuki Sato ha 20” sul compagno Koji Shimizu, Modica, lo spagnolo Abel Anton, il portoghese Luis Novo. Ancora sei chilometri, Anton parte all’inseguimento di Sato, lo prende a tre chilometri dallo stadio, lungo il Guadalquivir, Modica c’è ancora, vitale. Un finale crudele ma bellissimo, il mistrettese salta Sato al 41° km, Anton è irrequieto, si gira due, tre volte. I miracoli non esistono, a ventisette secondi da Anton – quasi 37 anni, il vincitore più vecchio di tutta la storia dei Mondiali – Modica può spargere i suoi baci nella calura che non molla, 2.13’36” e 2.14’03” i tempi dei due.
Michelangelo Granata