Liliana Segre, la bambina ormai diventata nonna, sopravvissuta alla tragedia di Auschwitz, ci ha regalato la propria testimonianza attraverso un discorso sentito, toccante e a tratti disperato, tenuto innanzi al Parlamento Europeo, in occasione della Giornata della Memoria del 27 gennaio.
Prima di quel famoso 27 di gennaio 50mila prigionieri ancora in vita, inclusa lei, erano stati obbligati a cominciare una marcia che durò per mesi. Dopo aver sentito scoppi lontani, venne dato l’ordine di iniziare “la marcia della morte“.
Se ne sente parlare pochissimo: “Ognuno deve, una gamba davanti all’altra, non appoggiarsi mai a nessuno“, dice. Nessuno avrebbe potuto appoggiarsi al compagno vicino, quel compagno che si trascinava sulla neve coi piedi piagati, che semmai fosse caduto, sarebbe stato finito dalle guardie della scorta.
Come si fa a sopravvivere, in quelle condizioni?
“Perché la forza della vita è straordinaria! E bisogna trasmetterla ai giovani di oggi, che sono mortificati dall’assenza di lavoro, dai vizi dei loro genitori molli, per cui tutto è concesso. La vita non è così, la vita ti prepara a questa marcia che deve diventare marcia per la vita. E noi non volevamo morire, noi eravamo legati alla vita qualunque essa fosse, mangiavamo qualunque cosa, mangiavamo la neve se non fosse sporca di sangue, pur di sopravvivere“.
“Eravamo giovani, senza sesso, età, seno, mestruazioni, mutande e non si deve aver paura di queste parole perché è cosi che si toglie la dignità ad una donna“.
Parole forti e crude le sue. Parole di chi si era abituata a sopravvivere. Perché c’era qualcosa dentro tutte quelle persone, forse più forte di loro stesse, che le spingeva ad andare avanti, che le teneva aggrappate alla vita più forte del dolore e dello sfinimento che le allontanava dalla speranza.
“Mi ritrovai alla fine del mese di aprile del 1945, nessuno apriva una finestra, ne lanciava un pezzo di pane…”.
“Si dà per scontato che popoli interi siano stati colpevoli, in quanto non fu solo il popolo tedesco… Si parlava dell’Europa colonizzata dai nazisti, la Francia, l’Italia. Abbiamo visto i nostri vicini di casa prendere possesso delle nostre case, delle nostre cose, del nostro cane di razza“.
E questa parola, “Razza“, fa paura e dovrebbe continuare a farne sempre di più, mentre, al contrario, spesso e volentieri continua a essere utilizzata a sproposito, come se fosse normale distinguerci in base alla religione o al colore.
Bisogna, invece, trovare la forza e la dignità di combattere questo razzismo e Liliana Segre, col suo sorriso amaro, ci ha dato infinite ragioni per farlo.
“La gente ancora mi chiede cos’è il razzismo. Il razzismo e l’antisemitismo ci sono sempre stati, da sempre sono stati insiti nelle persone prive d’animo… Arrivano i momenti in cui è più facile guardare dall’altra parte, guardare il proprio cortile, perché la cosa non interessa e non riguarda personalmente“.
Liliana sente di aver avuto una missione in questa vita, crede che la sua esperienza non debba essere vana, sa che il suo ruolo sarà per sempre quello di portare la pace, la gioia e la speranza nelle persone. Un inno alla vita, il suo.
“Sento adesso una difficoltà psichica di parlare nelle scuole, anche se il mio ruolo sarebbe di continuare a farlo fino alla morte“, afferma. E prosegue “quei ricordi non mi danno pace, perché da quando sono diventata nonna, 32 anni fa, quella ragazzina che ha fatto la marcia della morte, quella che non piangeva più, che cercava la parola comune, oggi è un’altra, è lontana da me. Oggi sono una nonna amorosa, presente, grata, io sono nonna anche di me stessa ed è una sensazione che non mi abbandona. Quando parlo nelle scuole, sono io che salto fuori e quella ragazza disperata, scheletrica non la posso più sopportare e sento che se non smetto di ricordare, se non mi ritiro, quel tempo che mi resta per iniziare a godere della gioia ritrovata non potrò godermelo perché non ce la faro più“.
Cosi conclude: “Che la farfalla gialla voli sempre sopra i fili spinati! È un semplicissimo messaggio da nonna che vorrei lasciare ai miei futuri nipoti ideali che siano in grado di fare la loro scelta e con la loro responsabilità e la loro coscienza, essere sempre quella farfalla gialla“.
Risulta difficile trovare le parole giuste per descrivere l’umanità di questa donna. Resta soltanto da augurarsi che in molti seguano la sua parola e ne facciano buon uso per essere persone migliori del domani. E adesso, tutti in piedi, davanti a Liliana Segre!
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