Parthenope, la sirena di Sorrentino e il suo squarcio nel mare di Napoli

Parthenope, la sirena di Sorrentino e il suo squarcio nel mare di Napoli

Un’ondata allegorica, mistica a tratti quasi eretica, che con la sua potenza inghiotte qualsiasi cosa, buona o cattiva che sia, come se tuttavia vi fosse distinzione, nel grande vortice marino che è il nuovo film di Sorrentino: Parthenope.

In un film le cui parole sono inevitabilmente inutili, noi di NewSicilia proveremo lo stesso a trasmettervi cosa è stato per noi Parthenope in un’epopea antropologica e strettamente legata al lato sensitivo, in puro stile Sorrentino.

Parthenope e la sua Odissea tra passioni e sentimenti

Se nella mitologia greca Napoli nasce dalla dissolvenza in acqua di Parthenope, gettatasi in acqua poiché ferita dal rifiuto amoroso di Ulisse, qui abbiamo invece una metafora asimmetrica. La Parthenope sorrentiniana vede la prima luce da un riflesso delle acque e sono proprio quelle ad adottarla, tenendola in grembo tra le sue morbide e saline onde.

E la città diventa così la madre, la culla e la prigione di quella sirena, seducendola e inducendola a sedurre in “un vedo non vedo” che cela e mostra ogni substrato sociale nella propria crudità.

Attraverso una propria Odissea, la bambina diventa lentamente e improvvisamente donna, salvaguardando il corpo da vergine ma formando un’animo affamato e quasi cinico. E di cosa vi chiederete? Sapere. Parthenope vive per sapere, anzi sarebbe meglio dire “per vedere”, scrutando ogni minimo chicco di sale nel grande mare dell’umanità.

Un’umanità che non riesce a dire di no alla bellissima sirena e che si lascia andare al suo dolce canto, danzando a braccetto una tarantella di passioni e sentimenti che tuttavia non riescono a dare il “resto” dietro il “tutto”, squarciando sterilmente il velo di Maya e facendo vincere la carne sopra la mente.

L’oblio del “lasciarsi andare”

Falliscono tutti, sedotti inevitabilmente dalla fanciulla, per primo il fratello Raimondo, il quale, troppo debole per reggersi agli scogli della ratio, si lascia cadere nell’abisso, sotto le note di Cocciante e sotto i baci di Parthenope e il deludente innamorato Sandrino, alter ego dello stesso regista.

L’abisso non fa prigionieri e trascina chiunque nella propria melma di rimorsi e insuccessi, e Parthenope lotta per “non lasciarsi abbandonare”, per non cadere nell’oblio, da cui però è verosimilmente affascinata e allora ecco che il viaggio accarezza la melma senza mai concederle un vero amplesso: dal sogno imposto di attrice alla volutamente oscenità dietro le alleanze mafiose di Napoli.

La potenza dirompente del “sapere”

In questa trappola di soli vinti, fuoriescono però anche i vincitori che superano il potere grazie alla fiamma del sapere, quella stessa e flebile fiamma che arde anche nel cuore di Parthenope e che solo grazie alla vera visione dell’uomo riesce a domare.

Fondamentale ad alimentare il fuoco è senza dubbio la figura del professore Marotta di Antropologia, un Virgilio nell’Inferno e nel Purgatorio della sirena, la quale viene condotta dritta al Paradiso, nascosto dietro la porta di un appartamento.

Ed è lì che ogni maschera fisica cade, è lì che Parthenope vede il “suo Dio”, composto di acqua e sale, proprio come il mare, strappandole un sorriso diverso, non quello di pura soddisfazione erotica o intellettuale, ma quello del “vedere il resto oltre tutto”. Parthenope non guarda più con gli occhi, ma con l’anima e dice tutto non dicendo niente, utilizzando come ineffabile ausilio la propria mano, che timidamente accarezza il figlio nascosto e accudito dal professore.

Napoli e Parthenope, Napoli è Parthenope

La pellicola si conclude come inizia, in un anello che riconcilia Napoli e Parthenope, nel segno del terzo Scudetto della squadra di calcio.

Una Napoli che accoglie la propria sirena straripante di emozioni o forse, questo sta allo spettatore giudicare, semplicemente ovattata tra botti e coriandoli per nascondere l’abisso in cui la città vive e che non ha saputo non “lasciarsi abbandonare”.

E quindi forse potremmo dire che Napoli è sia madre che creatura di Parthenope, che la accudisce e che si fa accudire. Entrambe legate dalla costellazione di animi che, di volta in volta, bagnano il grande scoglio che le rappresenta, formando un grande e complicatissimo sistema umano sorretto da soli due elementi: acqua e sale.