Con un epilogo annunciato lo scrittore Maurizio De Giovanni ha chiuso la saga noir della Napoli anni trenta.
“Il pianto dell’alba. Ultima ombra per il commissario Ricciardi” sigilla l’ultima l’indagine poliziesca costruita con la nobile arte dallo scrittore napoletano.

Credit Pinterest
La narrativa vestita a lutto fa presto a tramutarsi in romanzo denso di emozioni imprescindibili alla definizione di una razionalità difficile da conquistare.
Nel catalogo delle precedenti scritture il commissario Ricciardi ha sempre offerto un’immagine di sé affine a un eroe fermo nelle sue battaglie contro le ingiustizie, edulcorate però da tratti psicoaffettivi di nobile natura.
Ricciardi è un uomo solo che convive con una instancabile forza emotiva dalla quale vanta un credito non indifferente.
A nulla è valsa la lunga permanenza nei meandri oscuri del distintivo criminale dell’uomo. Il riscatto da una così profonda desolazione non può e non deve tardare.
Mani in tasca del soprabito di colore grigio scuro, capelli d’ebano sequestrati dalla brillantina, occhi verdi e ciuffo ribelle. Il commissario fa colazione con una sfogliatella al Caffè Gambrinus in piazza del Plebiscito a Napoli.
“Non che fosse un principe di sangue, o un multimilionario con vasta pratica di danze, cavalli e possedimenti.
Era invece silenzioso e schivo, nervoso e malinconico, con due occhi da animale braccato colmi di solitudine”.
La prima fila delle sue singolari caratteristiche conquista il dono avuto in eredità dalla madre: il capo della squadra mobile di Napoli Luigi Alfredo Ricciardi è in grado di vedere le vittime di violenza e di ascoltarne le ultime parole. Il fantasma della morte lo insegue.
“La paura, pensò Ricciardi. La paura, quella morsa allo stomaco e al cuore, il respiro che si fa corto, il sudore. Se hai qualcuno che ami, se qualcuno dipende da te, la paura è diversa. Cambia colore”.
Luglio 1934.
Una morte violenta quella dell’ufficiale tedesco Manfred von Brauchitsch, uomo vicino alla cantante Livia Vezzi, invaghita di Ricciardi al punto di non sottrarsi a folli scenate di gelosia. La donna, bellissima, è stata trovata nuda sul letto accanto a Manfred von Brauchitsch. Livia è stata palesemente drogata, prelevata dalla polizia e rinchiusa in manicomio. Non è necessario approfondire con ulteriori indagini dal momento che una pistola è stata rinvenuta accanto la mano di Livia.
“Nelle grandi città il vento è solo vento; un fastidio o un sollievo. Il vento non si distingue, non fa paura. Non ci si prepara al vento, nella grande città. Ma il vento fa correre il sangue tra i vicoli, e nelle piazze. Dentro le vene. E fuori”.
Ricciardi interviene con i primi rilievi, Livia non può e non deve essere condannata per un omicidio che non ha mai commesso. La polizia fascista indaga sul passato dell’ufficiale appartenente alle SA, gruppo paramilitare nazista fondato nel 1921 contro la dittatura delle SS. I portatori delle “camicie brune” ( così nominate per il colore della loro uniforme) furono elementi di un’organizzazione in conflitto con l’ascesa di Hitler e del regime nazista.
Ricciardi è sposato con Enrica ed è in attesa di un figlio, ma l’uomo è anche capo della squadra omicidi in servizio nella Regia Questura della Napoli dell’epoca fascista.
Il segreto che lo attanaglia da sempre e che lui chiama il “Fatto” diventa quasi una maledizione istruita alla visione di donne e uomini morti per mano violenta. La morte ovunque. L’ amore la precede, a questo giro però lo segue sulla polvere del passato. Livia, Enrica, due voci lontane dal “Fatto” perché non rievocano parole d’addio, le due donne sono vita pulsante, amore amico, amore amato. Due facce della stessa medaglia, quella che Maurizio De Giovanni scandisce in tutte le storie date alle stampe negli anni in cui gli intrighi dei noir a sua firma salutavano il lettore con virgole d’appuntamento.
“L’amore si racconta, sai. Adesso l’ho capito. Non serve a niente, l’amore, se resta sepolto in una stanza, a incenerirsi nelle mani di un uomo solo. L’amore si racconta, non importa in che lingua, non importa se sussurrato o urlato. Se si ha la fortuna di incontrarlo, l’amore, non si può far finta di niente. Mai più”.
Lo scrittore napoletano confessa la responsabilità di fare da tramite a equilibri ubriachi. Le difese immunitarie dell’amore sono nutrimento di felicità impotenti, non determinato da alcun principio avverso alla stabilità in perfetta salute. Il groviglio della parola ferisce giurando vendetta ma lo strazio dura poco: il destino con le sue macchie al veleno si accorge del rischio e ne prende le distanze per salvarsi da ogni volto contrario all’amore. Succede.
L’ultimo Ricciardi meno giallo dei suoi dodici confratelli presta una potente attenzione a un corteo di emozioni della vena epocale di ciascun personaggio. Sprovvista di ombre ambigue del lieto fine risulta fin troppo evidente la confezione di un noir con sembianze di un frettoloso addio.
Che l’epilogo sia!
Un nuovo progetto, forse, si sta già imbarcando con un biglietto riparatore del congedo comunicato in questa scrittura. Nell’attesa, la malinconia dell’alba si converte in pianto della visione simultanea di quel che è stato e non sarà mai più.