CATANIA – Studiare e lavorare: che lo si faccia per volontà o per necessità, si tratta di una cosa piuttosto complessa. Eppure sono migliaia gli studenti, universitari ma anche di scuola superiore, che decidono di svolgere un impiego.
Un impegno che richiede senza dubbio organizzazione, forza di volontà e passione. Tutti vorrebbero riuscire a gestirlo al meglio, ma, come dice un antico detto, “tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare” e pochi arrivano all’obiettivo, spesso a costo di grandi sacrifici.
Perché tanta fatica? C’è chi ha bisogno di mettere da parte del denaro per tasse e libri, chi vuole compiere i primi passi verso l’indipendenza economica, chi ha una famiglia da mantenere e chi ha semplicemente voglia di superare i propri limiti. Qualunque sia la ragione che spinge una persona a cimentarsi in due attività diverse, però, i momenti di abbattimento non mancano di certo.
Lo conferma Rosa, che, pur lavorando dai tempi delle scuole superiori, non nega che la stanchezza a volte è tanta e che i periodi di “incostanza” fanno parte del percorso: “Usciti dal liceo ognuno ha le sue esigenze. Si cresce e si vogliono fare tante di quelle cose che, spesso, ci si crede invincibili. Ma ci sono momenti in cui lo stress prende il sopravvento e si passa dal lavoro full-time a quello part-time e a quello occasionale. Poi, a volte, sembra che i sacrifici non bastino mai“.
Anche Sara, che ha svolto alcuni dei lavori più comuni tra gli studenti (principalmente ripetizioni, animazione nei villaggi turistici, attività a collaborazione), afferma che le difficoltà esistono, ma anche che ognuno può “trovare la formula più adatta a sé, in ogni contesto”.
La chiave per un’esperienza valida? Mettersi in gioco senza perdersi d’animo. “Ciò che meglio può conciliare studio e lavoro è il continuo sperimentarsi e non scoraggiarsi alle prime difficoltà: non bisogna abbattersi ai primi ostacoli, ma neanche perdere di vista gli obiettivi principali del proprio percorso universitario”, dichiara Sara, che aggiunge: “È giusto che sia così: si prova, si cade e ci si rialza. Come un ciclo vitale, per me essenziale”.
Tra alti e bassi, l’esperienza lavorativa è fondamentale per tanti studenti ed è una di quelle azioni di cui raramente una persona si pente. Alla domanda “Lo rifaresti?“, sia Rosa che Sara non hanno dubbi: “Assolutamente sì“.
“Rifarei esattamente la stessa cosa“, commenta Rosa, aggiungendo un ottimista “Sperate e credeteci tutti: volere è potere“ per chi volesse addentrarsi nel mondo degli studenti lavoratori.
Rivelando il forte impatto dell’esperienza lavorativa sulla sua personalità e sulla sua formazione personale, Sara dice con convinzione: “Non lo rimpiango perché ho potuto sperimentare cosa significa mettersi in gioco e approcciarsi al mondo che sta lì fuori, al mondo delle non-promesse e dei sogni infranti. Tutte le mie esperienze lavorative, in qualche modo, mi hanno plasmato: hanno colmato qualche lacuna caratteriale, come la timidezza o la paura di mettermi in gioco, ma hanno anche potenziato molti miei punti di forza, che a volte non credevo neanche di avere. Sono stata spronata, stimolata e ‘accelerata‘”.
E la scuola e l’università? Che ruolo giocano in tutto ciò? Riferendosi al sistema nazionale e locale, Rosa risponde alla domanda con delle constatazioni che fanno riflettere su alcune imperfezioni del mondo scolastico e accademico italiano: “Penso che il nostro Paese, che da offrirci ha solo posti belli, ricchi di storia e di cultura, di tradizioni folkloristiche e arte culinaria, volti le spalle agli studenti. È un’ingiustizia il fatto che uno studente debba fare infiniti sacrifici per riuscire a pagare le tasse e acquistare i libri di testo per poi, magari, correre il rischio di non trovare un lavoro perché non si appartiene a determinati ceti sociali o perché non si hanno i soldi per poter lasciare la propria terra”.
Spostando l’attenzione sull’Ateneo catanese, Sara esprime le sue idee in merito al rapporto tra l’istituzione e molti dei suoi iscritti: “Sono del parere che anche l’istituzione universitaria possa, e debba, giocare un ruolo attivo, stimolante e incoraggiante. Basandomi sulla mia esperienza, ma anche su quella di molti altri colleghi che negli anni ho avuto modo di conoscere, l’Università degli Studi di Catania non offre moltissimo supporto agli studenti”. Sembra che, tra lezioni a frequenza non obbligatoria solo formalmente, calcoli improbabili per comprendere se bisogna reputarsi o meno frequentanti e ostacoli simili, neanche l’esperienza di Sara non sia sempre del tutto rosea.
La ragazza, nonostante ciò, conclude il suo discorso con un sentito appello: “Se avessi la possibilità di far sentire anche la mia voce di studente lavoratore, cercherei sicuramente di trovare un compromesso, un equilibrio più stabile e corposo, alle esigenze degli studenti che vogliono buttarsi a capofitto nel mondo del lavoro”.
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