La Sicilia potrebbe avere il più grande giacimento di metano in Europa: sarebbe nel Ragusano

La Sicilia potrebbe avere il più grande giacimento di metano in Europa: sarebbe nel Ragusano

RAGUSA – “Il Sudest della Sicilia nasconde, probabilmente, il più grande giacimento di metano d’Europa…” ha affermato l’ingegnere Tuccio D’Urso, già dirigente della Regione Siciliana.

Augurandoci che il Governo italiano e quello siciliano facciano le dovute indagini tecniche per questa possibile e augurata scoperta, vi è da aggiungere che l’estremo lembo sud dell’Isola, ovvero Capo Passero e precisamente il contorno degli iblei ha mostrato nella storia risorse minerarie preziose per la Sicilia e per l’intera parte sud dell’ Europa.

L’ing. D’urso ha aggiunto che, al momento, non ci sono stime precise sulle dimensioni del giacimento e la società Maurel e Prom, pur confermando la presenza di metano nel sottosuolo, non si sbilancia ancora nel definirlo il più grande giacimento di metano d’Europa. Negli ultimi mesi, le ricerche sono concentrate, in particolare, nella zona di San Giacomo Bellocozzo, una frazione del Comune di Ragusa.

La suddetta clamorosa notizia si aggiunge alla scoperta dei giorni scorsi, riguardante l’esistenza  di un mega bacino idrico sotterraneo, a pochi chilometri di distanza  e precisamente nella piana di Gela.

E se fosse così? La Sicilia ancora una volta: “Stupor Mundi”

Di certo c’è, senza bisogno di andare parecchio indietro nel tempo che il Val  di Noto e precisamente la parte più a sud di Tunisi, ha goduto di cave di marmo pregiato, ovvero la famosa “Petra do Commisu” e poi di ampie cave di pece estese fino al territorio Vizzinese.

Facendo un breve richiamo alla storia dell’Unità d’Italia, gli inglesi che ai tempi del Regno dei Borbone,  avevano grossi interessi economici con lo sfruttamento di cave di pece nell’Isola, nel 1880, arrivarono ad una  produzione di asfalto che superò le 40.000 mila tonnellate; su una superficie di oltre 308 ettari da sfruttare per la estrazione di pece nera, le imprese anglosassoni ne gestivano più di duecento ed erano le seguenti. “The United Limmer and Vorwohle Rock Asphalt Comp. Lmt con circa 85 ettari, The Val de Travers Aphalte Paving Comp. Int. con 70 ettari l’H and A.B. Aveline con 50  ettari. Le imprese italiane, invece, solo una minima parte restante ed ultima, la Sicula con 6,5 ettari. Una leggenda metropolitana racconta che tutte le strade di Londra vennero asfaltate con il bitume di pece ragusana. 

Ma non finisce qui. Con lo sbarco anglo americano nell’Isola che pose fine alla seconda guerra mondiale,  fra i militari americani, approdati  nelle spiagge di Scoglitti e Punta Secca, vi erano anche ufficiali ingegneri minerari. Questi ultimi notarono che a Ragusa vi erano le famose cave dette “pirreri” di pece e venne in mente l’idea che il sottosuolo doveva essere ricco di petrolio. La scoperta venne tenuta segreta, fino a quando nacque la Repubblica Italiana e De Gasperi, con un nuovo cappotto prestato da un amico, si diresse a Washington per  chiedere aiuti economici con il piano Marshall,  dando inizio all’alleanza con gli States. Alla fine degli anni 40, la Gulf America venne in Italia a chiedere le necessarie concessioni per avviare le perforazioni nel territorio ibleo, e a partire dall’inizio degli anni 50, nel circondario cittadino sorsero come funghi le famose trivelle per l’estrazione dell’oro nero. La Gulf portò la sua sede legale a Ragusa, assunse migliaia di operai e tecnici del ragusano e il capoluogo ibleo, nel giro di qualche anno,  diventò uno dei Comuni più ricchi d’Italia, visto che le tasse venivano riscosse in loco; addirittura, per il personale impiegato, la Gulf  fece costruire un “centro dopolavoro” dotato di piscina coperta (a quei tempi, neanche Milano godeva di tale impianto). A fine anni 50, la Eldorado iblea, venne messa in crisi; i sindacati iniziarono a dimenarsi perché una industria petrolifera straniera stesse per sfruttare un bene italiano. Risultati? 

Il primo risultato: Agli inizi degli anni sessanta, la Gulf America toglie il disturbo, licenzia tutto il personale, porta con se, alcuni operai specializzati nel Nord Africa, dove aveva altri siti estrattivi, e cede la concessione all’Eni di Milano. 

Il secondo risultato:  L’Eni ha la sede legale e fiscale a Milano, mentre nella sede iblea fa arrivare le risorse umane occorrenti da altre parti d’Italia. 

Con l’augurio che questa volta, se si dovesse avverare una notizia del genere, cioè quella del metano,  si arrivi a gestire la mega risorsa per  migliorare, principalmente, le risorse economiche della nostra cara Sicilia.

 

Articolo a cura di Giuseppe Firrincieli