CAPACI – Erano le 17,57 del 23 maggio 1992 quando 400 chili di tritolo piazzati sotto il tratto autostradale della A29 che unisce Capaci e Palermo posero fine alla vita del giudice Giovanni Falcone, della moglie magistrato Francesca Morvillo e degli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
Oggi è il giorno della commemorazione, del ricordo di chi è caduto per lo Stato, della retorica che rischia di svuotare di significato ciò che è stato. Eppure dimentichiamo. Dimentichiamo che le 17,57 di 28 anni fa furono il momento massimo di isolamento al quale venne relegato il giudice Falcone. Lasciato solo a compiere il suo dovere di uomo al servizio delle Istituzioni. Un magistrato che ha pagato con la vita l’amore per il proprio lavoro e per la legalità.
Prima di venire ucciso dal tritolo, infatti, Giovanni Falcone fu vittima in vita di una massiccia campagna di delegittimazione. Dovette subire, sistematicamente, gli attacchi di quella che oggi definiremmo “la macchina del fango“. Venne persino accusato di essersi organizzato da solo il fallito attentato dell’Addaura del 1989 perché voleva fare carriera, perché malato di protagonismo. Pressioni e critiche che gli venivano mosse non solo dai nemici dichiarati, quei boss mafiosi che ogni giorno si impegnava concretamente a combattere, ma anche (se non soprattutto) da colleghi, colletti bianchi e gente “perbene“. Gli stessi che avevano invitato lui e la moglie ad allontanarsi da Palermo perché la scorta disturbava la quiete pubblica.
Disturbava Giovanni Falcone, sì. Perché non si arrendeva, lavorava duramente e aveva capito che bisognava seguire il denaro. I soldi, la chiave di tutto. Studiava personalmente ogni assegno dei padrini e dei prestanome, per ricollegarli tra loro e tracciare il percorso dei “piccioli”.
Agiva Falcone e lo faceva in nome di una doppia consapevolezza che lui stesso aveva spiegato:
“Che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così. Solo che quando si tratta di rimboccarsi le maniche e incominciare a cambiare, vi è un prezzo da pagare. Ed è allora che la stragrande maggioranza preferisce lamentarsi piuttosto che fare“. E ancora: “La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine“.
Incarnava gli ideali in cui credeva, viveva di quei principi che lo animavano dal profondo e che lo aiutavano a non far vincere la paura che pure, come è umano che sia, qualche volta lo avrà sfiorato. Se non per se stesso, almeno per chi gli stava vicino e lo amava. Come quando ipotizzò di divorziare dalla moglie, Francesca Morvillo, per tentare di metterla al sicuro. Proposito, purtroppo, vano. Sono rimasti uniti fino all’ultimo istante Giovanni Falcone e la moglie. Le ultime parole di quest’ultima, raccolte da un poliziotto durante il disperato tragitto in ospedale dopo l’esplosione, furono proprio per l’amato compagno di lavoro e di vita: “Dov’è Giovanni…“.
Perché anche se delegittimato, isolato e lasciato solo, Giovanni Falcone aveva il sostegno di Francesca Morvillo, degli agenti della scorta, quelli morti con lui e quelli della terza vettura del corteo che, feriti ma vivi, dopo qualche momento di choc, riuscirono ad aprire le portiere dell’auto e si schierarono a protezione della Croma bianca, temendo che i sicari sarebbero giunti sul posto per il colpo di grazia. E aveva al suo fianco l’inseparabile collega e amico Paolo Borsellino, che solo 57 giorni dopo sarebbe divenuto anche suo compagno di destino, ma in fondo sapevano già di essere uniti per la vita e per la morte.
Perché anche se oggi ricordiamo la strage di Capaci, non dobbiamo commettere l’errore di considerarlo come un episodio a sé stante. È parte di una lunga scia di sangue che per oltre vent’anni ha macchiato Palermo e la Sicilia tutta, facendo strage di giudici, carabinieri, poliziotti, giornalisti e persone comuni ree di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Proiettili e tritolo, però, non sono serviti. Giovanni Falcone vive, come vivono coloro che prima e dopo la strage di Capaci la mafia ha provato a fermare sparando e facendo saltare in aria: “Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini“.
Fonte foto: Facebook – Tvboy