Diagnosticano falsi tumori per operare. Tre medici in manette

Diagnosticano falsi tumori per operare. Tre medici in manette

MESSINA – Certificavano tumori per giustificare interventi di chirurgia estetica e ne intascavano i proventi. Ma sono stati arrestati dalla polizia, che ha eseguito un’ordinanza di applicazione di misura cautelare degli arresti domiciliari, emessa dal Gip di Messina Tiziana Leanza, su richiesta del sostituto procuratore della Repubblica Antonella Fradà.

I tre: Letterio Calbo, 67 anni, ex direttore del reparto di endocrinologia del Policlinico; Massimo Marullo, 59 anni, vicedirettore del medesimo reparto e Enrico Calbo 39 anni, specializzando, sono ritenuti responsabili, in concorso tra loro, dei reati di falso materiale e falso ideologico, peculato e truffa aggravata, consumati nell’esercizio delle loro funzioni di dirigenti medici dell’Aou di Messina, tra il 2011 e il 2013.

Secondo quanto scoperto, gli investigatori hanno appurato la natura fraudolenta delle condotte poste in essere dai tre medici, non solo nei casi evidenziati, bensì per tutta una serie di interventi chirurgici praticati presso l’Usod di endocrinochirurgia Policlinico, addirittura a partire dal 2011.

Secondo gli inquirenti la condotta materiale consisteva nel dissimulare degli interventi di chirurgia estetica additiva (mastoplastica), certificando l’esistenza di patologie oncologiche, di origine traumatica e/o malformativa; in alcuni casi si era poi reso necessario un secondo intervento per la sostituzione delle protesi difettose, in precedenza impiantate.

La piena riuscita del programma ‘criminoso’, tradottosi poi, come è stato accertato, in un consolidato modus operandi, implicava la sistematica alterazione della documentazione clinica il direttore del reparto di endocrinochirurgia, con l’effetto di trarre in inganno sia le pazienti, sia l’Aou, sia il servizio sanitario regionale.

Le indagini hanno evidenziato che alle pazienti veniva richiesto il pagamento delle protesi impiantate, per importi di qualche migliaio di euro, di cui i medici si appropriavano, omettendo di dichiarare all’azienda sanitaria sia l’indebito compenso ricevuto, sia l’impiego di una diversa tipologia di protesi, rispetto a quelle in uso alla farmacia del Policlinico, in palese violazione del protocollo sanitario: ciò era possibile grazie all’apposizione sulle cartelle cliniche di etichette non corrispondenti a quelle delle protesi impiantate.

Ma, ovviamente, il danno economico arrecato all’azienda, non si limitava al mancato versamento delle somme corrisposte dalle pazienti, essendo aggravato dalla regolare utilizzazione di sale operatorie e apparati della struttura pubblica. Ad un secondo livello si verificava la truffa in danno del SSR, cui venivano segnalati falsamente come rientranti nella casistica dei LEA (livelli essenziali di assistenza) interventi non coperti in tutto o in parte dal Servizio sanitario Regionale, per i quali non era quindi dovuto il rimborso.