ITALIA – La pubblicazione dei risultati delle Prove Invalsi, “Rilevazione nazionale degli apprendimenti”, ha messo in vetrina la fotografia della scuola italiana. Permane la distinzione e la diseguaglianza tra Nord e Sud e i risultati, rapportati a quelli pre-Covid e ancor meglio con la didattica a distanza, hanno registrato una positiva tenuta nella scuola Primaria (classi seconde e quinte) anche in riferimento alla più assidua didattica in presenza e con le innovazioni dei criteri di valutazione, senza voti, ma impegnando i docenti a descrivere le competenze.
Già gli esiti delle prove di matematica nella quinta classe hanno fatto registrare un breve calo, che diventa ancor più evidente per i 545mila studenti di terza media. Preoccupante il dato evidenziato nel constatare che 1 maturando su 10 ha le competenze di terza media ed il 60% degli studenti della Campania, Calabria e Sicilia non ha raggiunto il livello base.
A cosa sono serviti i cinque anni di scuola superiore?
Se il 52% degli studenti di quinta superiore ha raggiunto un livello adeguato in italiano significa che il 48% dei maturandi non hanno sviluppato adeguatamente le competenze del leggere, comprendere, scrivere, elaborare, sintetizzare.
In terza media
4 su 10 non comprendono il testo letto e solo il 56% raggiunge le competenze di base in matematica che diventa poi “tasto dolente” nella classe seconda superiore, essendo stati ammessi per “grazia ricevuta” dalla crisi pandemica che ha rallentato i ritmi ordinari di insegnamento e di apprendimento, agevolando il passaggio da una classe all’altra.
Confrontando i dati con gli esiti pre-pandemia si registra un forte calo e nel contempo un leggero miglioramento rispetto allo scorso anno, ma tutto ciò non consola e non gratifica l’impegno della scuola in vista di una didattica efficace ed efficiente.
Riemergono sempre vivi i vecchi problemi mai risolti dell’istruzione italiana: una didattica ancora molto trasmissiva e poco coinvolgente nel rendere gli studenti protagonisti attivi nell’apprendimento; una matematica spesso “ostica e ostile” ai ragazzi; e poi ancora il contesto sociale di provenienza, la carenza di stimoli culturali in famiglia, le condizione socio-economiche, la pendolarità, la mobilità dei docenti, la discontinuità del corpo docente e l’incremento delle supplenze, sono tutti fattori che influiscono e rallentano il processo di crescita e di efficace miglioramento della qualità della scuola.
Si registra inoltre un crescente numero di “studenti fragili” verso i quali l’attenzione pedagogica indossa il mantello della bontà e della comprensione e non si traduce in efficace aiuto nel recupero delle competenze di base.
La registrazione che in matematica solo 1 maturando su 2 raggiunge la fascia di punteggio adeguata rivela una crepa nel sistema didattico, così pure la competenza linguistica B2 per la lettura in inglese è raggiunta soltanto dal 52%.
I dati Invalsi mettono in evidenza un fenomeno di “dispersione implicita”, che caratterizza gli studenti che sono presenti e frequentano la scuola, ma non arrivano ai traguardi stabiliti dalle Indicazioni Nazionali.
Le prove Invalsi che costituiscono un “bene pubblico”, nel misurare la variabilità degli esiti, mettono in evidenza come gran parte del risultato medio di ogni studente dipenda dalla classe o dalla scuola in cui è inserito e questo fattore determina la scelta dei genitori alla ricerca della scuola, della sezione, dei docenti migliori.
Il Collegio dei Docenti nelle prime riunioni di settembre ha il compito di leggere e interpretare i dati registrati per la singola scuola, sezione e classe e programmare i correttivi necessari per un efficace “piano di miglioramento” delle metodologie didattiche in vista dei necessari interventi di recupero e di potenziamento.
Articolo redatto in collaborazione con Giuseppe Adernò