Colpo alla mafia di Sciacca: 5 fermi, tra cui capo e un collaboratore parlamentare

Colpo alla mafia di Sciacca: 5 fermi, tra cui capo e un collaboratore parlamentare

SCIACCA – I militari della Guardia di Finanza di Palermo e Sciacca e carabinieri del Ros e del Comando Provinciale di Agrigento, alle prime ore dell’alba, hanno dato esecuzione a un provvedimento di fermo emesso dalla Procura della Repubblica di Palermo – Direzione Distrettuale Antimafia nei confronti di 5 soggetti, ritenuti appartenenti o comunque contigui alla famiglia mafiosa di Sciacca (Agrigento).

Sono altresì in corso decine di perquisizioni su tutto il territorio di Sciacca, che vedono impiegati oltre 100 finanzieri e Carabinieri, supportati da mezzi aerei e unità cinofile, che riguardano abitazioni, uffici, aziende e negozi nella disponibilità degli indagati.

Le complesse indagini hanno evidenziato come i cinque fermati, seppur in un momento di assoluta difficoltà della cosca saccense, abbiano continuato a reiterare le forme sistematiche di controllo del territorio tipiche del fenomeno mafioso.

In particolare è emersa la figura carismatica di Accursio Dimino, detto “Matiseddu”, già condannato per associazione mafiosa – da ultimo nel 2010 – per il suo ruolo espresso in Cosa Nostra, per la quale, nel tempo, è stato “reclutatore di nuovi adepti”, assoluto interprete nell’acquisizione di attività economiche e appalti di opere pubbliche nel settore edile e turistico-alberghiero, per assumere, nel primo decennio degli anni 2000, il ruolo di capo della famiglia mafiosa di Sciacca.

L’uomo, negli anni ’90, per conto della famiglia di Sciacca ha avuto un ruolo centrale nello sviluppo di dinamiche associative ultra-provinciali, mantenendo contatti e veicolando “pizzini” con i corleonesi, in particolare con Salvatore Riina e Giovanni Brusca. In quegli anni, le attività investigative avevano, inoltre, accertato i contatti con il latitante mafioso Matteo Messina Denaro.

A partire dalla sua scarcerazione, sono stati documentati i rapporti intrattenuti da Dimino con soggetti mafiosi operanti nel territorio di Sciacca, di Castellammare del Golfo (Trapani) e con taluni personaggi ritenuti contigui alla famiglia mafiosa Gambino di New York.

Con riferimento a quest’ultima articolazione di Cosa Nostra, si è in particolare relazionato con un soggetto con cui aveva pianificato un’attività criminale che successivamente non è stata portata a compimento a causa dell’improvviso omicidio – avvenuto a New York lo scorso 13 marzo – di Frank Calì (alias FrankieBoy), esponente di spicco della citata famiglia mafiosa italo-americana, evento questo immediatamente comunicato in Sicilia dagli Stati Uniti.

Fra i fatti contestati all’uomo nel provvedimento emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Palermo vi sono le pressioni su imprenditori locali per consentire a imprese riconducibili a propri sodali di ottenere appalti, l’attività di recupero crediti a beneficio di soggetti legati a uomini d’onore, propositi di danneggiamenti e altre attività criminali nei confronti di diversi soggetti per finalità estorsive.

Alcuni colloqui captati nel corso delle indagini svelerebbero inoltre come abbia rappresentato, in passato, l’ala più dura della famiglia di appartenenza, facendo parte del cosiddetto “triumvirato”, lo storico gruppo di fuoco operante negli anni ‘90 a Sciacca.

Nell’ambito delle investigazioni è emersa la figura di Antonino Nicosia, inteso Antonello, esponente di rilievo dei Radicali Italiani, pure lui destinatario del provvedimento di fermo poiché ritenuto organico alla famiglia mafiosa saccense, già noto in quanto, tra le altre cose, condannato in via definitiva alla pena di 10 anni e 6 mesi di reclusione per partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, scarcerato da ormai oltre 10 anni.

Gli approfondimenti investigativi effettuati nei confronti di Nicosia hanno consentito di documentare:

  • il pieno inserimento dell’uomo nel contesto mafioso saccense, emerso con evidenza anche dalle conversazioni intercorse tra l’indagato e l’uomo d’onore Accursio Dimino;
  • una riservata riunione effettuata a febbraio del 2019 a Porto Empedocle tra Nicosia e due pregiudicati per partecipazione ad associazione mafiosa di cui uno fidato sodale di Matteo Messina Denaro, nel corso del quale i tre affrontavano alcuni argomenti di rilevante interesse investigativo, chiamando in causa direttamente il citato latitante al quale doveva essere destinata una somma di denaro che gli interlocutori si stavano prodigando a recuperare;
  • l’uso strumentale del rapporto di collaborazione instaurato da Nicosia con una Parlamentare della Repubblica Italiana, rapporto questo utilizzato per un periodo dall’indagato per accedere all’interno di diverse carceri del territorio nazionale e avere contatti anche con altri esponenti reclusi di cosa nostra;
  • l’impegno profuso dell’uomo per la realizzazione di un non meglio delineato progetto che, afferente il settore carcerario, interessava direttamente il latitante Matteo Messina Denaro da cui l’indagato, per l’opera svolta, si aspettava di ricevere un ingente finanziamento non ritenendo sufficienti i ringraziamenti che asseriva di avere ricevuto dallo stesso ricercato.

Le attività d’indagine svolte nei confronti del malvivente hanno quindi permesso di acquisire elementi in merito alla sostanziale affiliazione di quest’ultimo all’organizzazione mafiosa saccense e alla sua contiguità all’omologa realtà castelvetranese, sodalizi questi in favore dei quali Nicosia ha fornito un contributo rilevante anche sfruttando la propria posizione pseudo-istituzionale e il connesso qualificato circuito relazionale.

Spendendo titoli di docenza anche internazionali, nonché quale appartenente al Comitato Nazionale dei Radicali Italiani e direttore della Onlus Osservatorio Internazionale dei Diritti dell’Uomo (O.I.D.U.), ha operato nell’ambito assistenziale del settore carcerario, accedendo all’interno di alcuni istituti di detenzione e intrattenendo rapporti con operatori penitenziari.

In tale contesto Nicosia:

  • si è adoperato fattivamente al fine di favorire alcuni detenuti rientranti nel circuito del latitante Matteo Messina Denaro, tra cui Filippo Guttadauro (cognato del latitante, attualmente internato in misura di sicurezza – casa lavoro nel carcere di Tolmezzo e ancora sottoposto al regime detentivo ex art 41 bis O.P.);
  • nella prima puntata del suo programma televisivo e via web “Mezz’ora d’aria”, titolata Misure di Sicurezza – il caso Tolmezzo e trasmessa da una emittente locale, ha intervistato un avvocato con cui si soffermava a disquisire in ordine a un’asserita anticostituzionalità della procedura di applicazione delle misure di sicurezza (fenomeno dei cosiddetti “ergastoli bianchi”) con particolare riguardo agli internati sottoposti all’art 41 bis O.P. della Casa Circondariale di Tolmezzo;
  • sfruttando la possibilità che aveva di accedere all’interno delle carceri, si proponeva di veicolare messaggi tra soggetti liberi (a vario titolo contigui al contesto mafioso siciliano) e detenuti già condannati in via definitiva per partecipazione ad associazione mafiosa.

Come detto sopra, le attività svolte dall’indagato che riguardavano il settore carcerario erano rese possibili, tra l’altro, dal fraudolento utilizzo da parte dell’uomo del rapporto di collaborazione che aveva instaurato con una Parlamentare della Repubblica Italiana.

In virtù di tale rapporto, infatti, ha partecipato ad alcune ispezioni carcerarie parlamentari e ha sicuramente fatto accesso all’interno delle carceri di Sciacca, Agrigento, Trapani e Tolmezzo senza la preventiva autorizzazione del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e ciò sfruttando le prerogative riconosciute dalle norme sull’ordinamento carcerario ai membri del Parlamento e a coloro che li accompagnano.

I cinque destinatari del fermo sono:
Accursio Dimino, 61enne nato a Sciacca;
Antonino Nicosia (detto Antonello), 48enne nato a Sciacca;
Paolo Ciaccio, 33enne nato a Sciacca;
Luigi Ciaccio, 33enne nato a Sciacca;
Massimiliano Mandracchia, 46enne nato a Sciacca.

Parallelamente all’esecuzione dei fermi, su disposizione dell’autorità giudiziaria, i militari operanti stanno procedendo a sequestrare agli indagati disponibilità finanziarie – tra le quali una carta di credito collegata a conti esteri – e patrimoniali, tra cui un’imbarcazione, tenuto conto che gli stessi risultano disporre, anche per interposta persona, di beni e altre utilità in valore sproporzionato al reddito da loro dichiarato.