La storia e le tradizioni di un popolo sono sempre racchiuse nella sua produzione musicale. Questo è particolarmente vero per i popoli che hanno una storia lunga e complessa e una cultura folkloristica molto “vivace”, come quello siciliano.
Per qualunque abitante dell’isola è impossibile non ricordare o non aver mai ascoltato almeno una poesia, una ninna nanna, un ballo popolare o un’antica filastrocca. La varietà della musica popolare siciliana è strettamente legata alla sua storia.
L’isola, come è ben noto, nel corso dei secoli è stata sotto il controllo di numerose popolazioni, ma pochi sono a conoscenza di quanto ogni dominazione abbia influito sulla sua cultura musicale.
I dettagli più interessanti sulla musica popolare siciliana, oggi conosciuta anche oltre lo Stretto, riguardano la sua origine: al contrario di quanto si potrebbe immaginare ascoltando il ritmo allegro delle canzoni isolane più note, la musica siciliana ha le proprie origini negli inni funebri e sacri introdotti prima dai Greci e poi dagli Arabi e dai Normanni.
Dal mondo arabo la Sicilia potrebbe aver assimilato la tendenza a far coincidere musica sacra e musica popolare. Nel periodo arabo-normanno, inoltre, si diffuse l’utilizzo di strumenti musicali, per lo più a corde, molto innovativi: tra questi, l’organistrum (strumento a tre corde), il rebab (considerato “antenato” del violino) e il liuto (esistente, si dice, sin dall’epoca degli antichi Egizi, ma introdotto in Europa solo nel periodo della dominazione araba, dal IX secolo in poi).
La prima testimonianza relativa alla musica popolare siciliana risale però soltanto intorno al XII secolo, quando, sotto il regno di Ruggero I, vennero redatti i primi tropari siculo-normanni, contenenti inni sacri utilizzati durante le feste religiose. Tra questi vi era il “Troparium de Catania”, legato all’attività della Cattedrale di Catania, che contiene uno dei canti più antichi dedicati alla patrona della città, Sant’Agata.
I tropari rappresentano l’unicità della melodia popolare siciliana di stampo religioso: contengono, infatti, i primi esempi di musica polifonica scritta ed elementi (come la melodia discendente, forse di origine ellenica) che rendono i canti siciliani diversi da quelli di stampo gregoriano, più diffusi all’epoca.
Accanto alla tradizione musicale religiosa “alta” vi era, inoltre, quella popolare: lamenti e canti accompagnati da strumenti a corda o a fiato si ascoltavano spesso nel corso di manifestazioni e ricorrenze religiose particolari (soprattutto Natale e la memoria della Passione di Cristo).
Nel Medioevo trova notevole successo anche l’arte (oggi purtroppo in declino) dei cantastorie, che spesso accompagnavano le proprie produzioni poetiche e narrative con strumenti musicali.
Originaria del periodo della dominazione islamica in Sicilia potrebbe essere anche il Tataratà, una danza propiziatoria ancora oggi nota e praticata nell’Agrigentino.
Risale invece a qualche secolo dopo, e più specificamente al Regno delle due Sicilie (XIX secolo), il successo di un altro ballo, ancora oggi simbolo dell’identità siciliana e meridionale: la tarantella. Sebbene, secondo molti studiosi, questa danza affondi le sue radici nel periodo greco-romano (lo testimonia anche l’utilizzo del tamburello, strumento usato nella produzione musicale legata ai riti magici e propiziatori di epoca pre-cristiana), nel corso dell’Ottocento questo ballo, che aveva caratteristiche differenti nelle varie aree del Sud Italia, divenne l’emblema del Regno e trovò una maggiore diffusione. La notorietà del ballo non ha mai conosciuto fine, neanche dopo l’Unità d’Italia.
L’analisi dell’intero patrimonio di balli e canzoni popolari della nostra isola farebbe emergere sicuramente altri dettagli interessanti, ma già da questo breve excursus è possibile comprendere come la produzione musicale folkloristica della Sicilia sia straordinariamente multietnica.
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