Google Stadia aveva un sogno: portare i videogiochi ovunque, senza la necessità di un hardware dedicato, ma solo di una buona connessione a Internet, un po’ come ha fatto Netflix con i prodotti audiovisivi. Eppure, ha fallito. Perché?
Ricominciamo dall’inizio: Google nel 2019 annuncia un servizio rivoluzionario, qualcosa di mai visto prima di allora, ovvero la possibilità d’iniziare una partita sul televisore del salotto di casa, continuarla sullo smartphone in metro e riprenderla la sera sul tablet sdraiati a letto. Il tutto, display permettendo, in risoluzione 4K. Le cose, però, non sono andate così.
Dopo investimenti milionari in infrastrutture, server e cloud computing, il 4K non è mai arrivato nei termini promessi e dei 400 titoli annunciati se ne sono visti appena una manciata, di cui molti porting. Inoltre, secondo alcuni analisti (Emanuele Ghianda, Filippo Giacometti e Luca Tremolada), il modello di business adottato è incomprensibile agli occhi dei videogiocatori: io giocatore PC o console perché dovrei sottoscrivere un abbonamento (attualmente 9,99 euro al mese) per accedere alla piattaforma, pagare i titoli allo stesso prezzo della concorrenza e non avere né la stessa potenza di calcolo né gli ampi cataloghi di giochi offerti da Sony, Microsoft e Nintendo?
Il discorso esclusive fa poi ridere. A febbraio 2021, Phill Harris, vicepresidente del progetto Stadia, ha annunciato, in una nota stampa, che Google non produrrà più videogiochi, com’era inizialmente previsto, ma si limiterà a vendere giochi di terze parti. Il motivo è legato ai costi di sviluppo di un videogioco, che «crescono esponenzialmente con il passare del tempo», e al fatto che per produrre titoli tripla A occorrano anni e anni. Verrebbe da chiedersi: davvero se ne sono accorti ora? I due team incaricati dello sviluppo di videogiochi, uno a Montreal e l’altro a Los Angeles, chiuderanno quindi i battenti.
Google Stadia è un’occasione persa, quella di cambiare il mercato videoludico. Se vuole salvare il salvabile deve smetterla di far pagare ogni singolo titolo a prezzo pieno, proporre un’offerta più variegata in stile Game Pass, perché no anche targettizzata come Amazon Luna, e mantenere le promesse fatte in termini prestazionali (4K su tutti i titoli). Solo così, in futuro, potrà permettersi di sviluppare esclusive, ma soprattutto di competere con le big del settore.