MONDO – Mark Zuckerberg, il patron di Facebook, Instagram e WhatsApp, lo ha annunciato: il nome dell’azienda madre non sarà più Facebook Inc. ma Meta, che sta per metaverso; cos’è, però, un metaverso? Il prefisso meta-, di origine greca, unito alla parola universo indica un mondo altro, virtuale, parallelo, oggi diremmo un Internet in 3 dimensioni come quello descritto da Neal Stephenson nel romanzo cyberpunk Snow Crash (1992).
Eppure, la domanda più importante a cui rispondere è “cos’è e cosa sarà Meta per Zuckerberg”. Lui parla di “apprendimento immersivo, realtà aumentata, ologrammi” per esprimerci in modi giocosi, connetterci (torna la favoletta della connessione) e incontrarci sotto altre forme (gli avatar) in una società completamente ridisegnata (da chi? Da Zuckerberg?). Vien da chiedersi quanto di tutto questo possa essere fattibile e con quali modalità per un’impresa statunitense quotata in Borsa che ricava circa il 98% del proprio fatturato dalla pubblicità targhettizzata.
Un tempo si utilizzava Facebook per ritrovare gli amici e gli ex compagni di classe, oggi invece è diventato una pattumiera: fake news, gruppi di neonazisti e immancabili video nonsense di ogni genere che hanno come unico scopo quello di trattenere l’audience il più possibile sulla piattaforma. La verità è che le colpe di Facebook finiscono laddove iniziano quelle dei Governi che non hanno capito, o voluto capire, che gli algoritmi, se in mano a privati, possono spostare gli equilibri economico-politico-finanziari di intere nazioni.
È recente la notizia secondo cui Facebook, anzi Meta, voglia investire in Europa. La non più buona reputazione di cui gode negli States sta portando il colosso di Menlo Park a rivalutare le proprie strategie. Si parla di più 10 mila posti di lavoro da dislocare nei Paesi UE per dare agli europei “un ruolo fondamentale nella creazione di questo nuovo universo che vuole sbloccare l’accesso a nuove opportunità creative, sociali ed economiche”, dice Zuckerberg.
Javier Espinoza, corrispondente UE del Financial Times, ritiene che si tratterebbe di un tentativo di ripristinare la reputazione di un marchio ormai in decadenza e che, tuttora, proprio a Bruxelles è indagato dall’Antitrust per il modo in cui utilizza i dati degli utenti che raccoglie.