Era il 10 dicembre del 1948 quando l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò ufficialmente la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Da allora sono trascorsi 72 anni, un arco temporale lungo e difficile che ha posto più di una sfida alla società internazionale e che ancora oggi ci lascia con un dubbio fondamentale: quanto c’è ancora da fare affinché quel documento trovi piena realizzazione?
Dignità, libertà e uguaglianza sono veramente prerogativa di tutti nel 2020, sia de iure che de facto? La domanda è evidentemente retorica, poiché purtroppo la risposta è “No”. Gli sforzi della comunità internazionale sono immani, eppure le sfide ancora non vinte sono tante, troppe, così come i temi “caldi” oggetto di dibattiti e scontri.
La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 (DUDU) nasce da un progetto ambizioso: mettere assieme tradizioni giuridiche e ideologie differenti e costruire un documento vincolante che potesse diventare luogo di sintesi di valori portanti per la comunità internazionale post-bellica.
I meccanismi di garanzia e di prevenzione degli illeciti si sono moltiplicati nel corso degli ultimi decenni, ma di fatto sono ancora tanti i problemi da risolvere: le torture e gli esodi forzati che in molti Paesi del mondo sono ancora normalità, la libertà d’espressione che è ancora un miraggio per troppe persone; l’onnipresente discriminazione razziale, di genere o sessuale, le disparità e una società “inclusiva” da costruire…
“Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona”, recita l’articolo 3 della Dichiarazione. Libertà, dignità, libertà, sicurezza: si tratta di parole che ricorrono spesso nel linguaggio comune, talmente tanto che forse hanno perso parte del valore che dovrebbe essere loro attribuito.
E se la comunità globale può dire di aver fatto passi in avanti straordinari negli ultimi tempi, un progetto come quello implicito nell’approvazione della DUDU non può dirsi ancora realizzato pienamente.
In un anno drammaticamente segnato dal Coronavirus, temi come quello della libertà, del diritto alla salute e princìpi come libertà e uguaglianza sono di primaria importanza. E la responsabilità della comunità civile si fa sempre maggiore.
In occasione del 72esimo anniversario della DUDU, Amnesty Sicilia ha organizzato un seminario dal titolo “Chi difende i diritti umani?“. Un incontro che ha avuto come obiettivo fondamentale quello di risvegliare le coscienze “sopite” di molti, in un momento in cui non si può scendere in piazza ma si può comunque fare la differenza con poco.
Temi primari, ma non unici, sono stati quello della responsabilità civile e della libertà d’espressione.
“La società civile raccoglie e rappresenta le istanze degli individui”: è nella società che l’essere umano sviluppa i propri diritti individuali. Lo spiega bene l’avvocato Chiara Di Maria, responsabile di Amnesty Sicilia, che avverte del sempre minore spazio lasciato alla società civile.
Anche se gli ultimi mesi hanno visto un’azione per i diritti senza precedenti, dalle proteste di Hong Kong al Black Lives Matter negli USA, la violenza scatenata da molte rivendicazioni lancia un grido d’allarme. “Questo è stato l’anno delle grandi mobilitazioni, ma anche della grande repressione di queste mobilitazioni – spiega l’attivista durante il suo intervento – Quello che Amnesty International ha registrato negli ultimi anni è un atteggiamento ‘ostruzionistico’ nei confronti dei difensori dei diritti umani, spesso repressivo, volto a screditare il difensore di fronte all’opinione pubblica”.
I diritti umani sembrano una realtà lontana, anche perché raramente si conoscono storie e volti dei casi internazionali, ma la verità è ben diversa: “I diritti umani sono tra noi. Attori della tutela e del rispetto dei diritti umani dobbiamo essere tutti noi”.
“I difensori dei diritti umani appartengono a ogni condizione sociale, possiamo esserlo tutti. Si tratta di persone comuni che alzano la voce e chiedono la tutela dei diritti a beneficio di tutti, non solo per sé. Questa loro voce fondamentale deve giungere alle orecchie delle istituzioni e dei Governi per creare il cambiamento”, conclude l’avvocato Di Maria.
Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia parla, in un mondo segnato dalla pandemia, di un “diritto storico quanto fragile”, quello della libertà d’espressione e d’informazione.
Un diritto che in periodo di crisi dovrebbero valere perfino di più, ma che in realtà è sotto minaccia costante: “Abbiamo assistito a un fenomeno molto grave, come se la libera d’informazione fosse il nemico“, spiega Noury.
Una garanzia già “fragile” è stata particolarmente colpita, nella misura in cui anche giornalisti in campo a servizio della comunità sono stati soggetti a limiti, repressioni o accuse infondate, come e anche più che in passato.
La Sicilia, in particolare, è un crocevia di culture e non avere un ruolo centrale nella tutela e nella promozione di ogni singolo diritto umano.
“In Sicilia l’attività di Amnesty è da sempre ben accolta, sia dal tessuto sociale che dalle istituzioni. Abbiamo un ottimo riscontro con l’istituzione scolastica, ma anche con quelle politiche”, spiega l’avvocato Di Maria.
“Una delle più importanti tematiche è quella attiene al riconoscimento del diritto d’asilo e alla tutela dei migranti che arrivano in Italia (e in Sicilia, soprattutto). Non possiamo esimerci dall’avere un ruolo di ‘ponte‘, come attivisti e difensori dei diritti umani. Non possiamo che renderci attori della risposta a istanze di questo gruppo”.
Gli attivisti, però, non si limitano al territorio siciliano. Dalla protesta contro la pena di morte fino anche alla lotta alla criminalità organizzata e alla repressione delle libertà: “La gamma di tematiche da affrontare purtroppo è ampia. Non solo per le problematicità locali, ma anche per quelle ‘lontane da noi’ che però afferiscono alla tutela dei diritti umani. La tutela dei diritti umani è un dovere collettivo“.
“When we all act together, we are more powerful”, si legge sul sito ufficiale di Amnesty International. L’azione può fare la differenza, da una semplice firma per la maratona “Write for Rights” all’attivismo vero e proprio.
Finché vi sarà al mondo un popolo senza libertà fondamentali, un essere umano privato del diritto alla vita o una persona discriminata per le proprie idee, la missione avviata con la Dichiarazione del 1948 non potrà dirsi compiuta e l’azione collettiva sarà una necessità improrogabile.
Fonte immagine: Flickr – FDR Presidential Library & Museum
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