CATANIA – È ripartito in queste settimane il dibattito sul nuovo disegno di legge Zan–Scalfarotto contro l’omotransfobia, una proposta che intende equiparare i reati di natura omotransfobica a quelli legati agli atti di discriminazione e odio razziale, etnico o religioso.
Il ddl si prefigura come un’estensione della nota legge Mancino del 1993 e il suo testo unico dovrebbe essere depositato in Commissione Giustizia della Camera nella giornata di domani, martedì 16 giugno. Se approvata, la futura legge contro l’omotransfobia andrebbe finalmente a colmare quelle lacune normative che ancor oggi continuano a non fornire le tutele necessarie ai cittadini appartenenti alla comunità italiana LGBTQI+.
“La proposta di legge che ha firmato l’onorevole Alessandro Zan – racconta a NewSicilia Giovanni Caloggero, presidente di Arcigay Catania – è un superamento di quello che noi chiedevamo negli anni scorsi, cioé l’estensione della legge Mancino: estendere ai reati di natura omotransbifobica quanto era previsto per tutte le altre aggressioni e altri tipi di violenza. Questa proposta di legge è molto più completa, nell’enunciato e nella formulazione comprende più casi, persone e generi. Sarà in discussione credo a luglio in Commissione. Noi ci aspettiamo che venga accolta integralmente e non si ripeta, anche questa volta, quello che è stato quello sulla legge delle Unioni Civili Cirinnà, quando fu approvato tutto tranne la stepchild adoption“.
Un’assenza dovuta, come molti ricorderanno, a dissidi politici tra le forze di maggioranza e minoranza della precedente legislatura. Stavolta, tuttavia, Arcigay non intende assistere all’approvazione di un ddl monco: “Non siamo molto disponibili ad accettare sconti al ribasso, recentemente la CEI si è dichiarata contraria perché verrebbe previsto anche il reato di opinione. Questo è assolutamente falso, il reato di opinione è una cosa e noi come Arcigay, che siamo per la libertà di espressione, diciamo che a nessuno deve essere proibito di esprimere il proprio pensiero. Qui si tratta di reati di violenza vera e propria, di discriminazione e persecuzione. Si parla di fatti. La violenza è un fatto e non un’opinione“.
“Abbiamo puntato tantissimo su questo – prosegue Giovanni Caloggero – tant’è che se non ci fosse stato questo problema epidemiologico del Covid-19 il tema di tutti i Pride italiani, stabilito nel circuito Onda Pride, sarebbe stato proprio l’omotransfobia. Negli ultimi anni questo tipo di violenza è andata ad aumentare. A Catania, che è stata fino a poco tempo fa un’isola felice, i casi di violenza di questo genere sono stati pochi o nulli, tranne fenomeni di bullismo come in piazza Teatro Massimo. Il fatto di Aci Catena è l’unico davvero eclatante di quelli che noi sappiamo, al netto delle denunce“.
“Ci sono stati altri casi che poi si sono sgonfiati perché erano altra roba, uno forse abbastanza reale che avvenne in piazza Teatro Massimo e per il quale noi intervenimmo, in merito a una persona trans che aveva subito violenza all’interno di un pub. Altro non mi risulta, Catania è aperta e abbastanza tranquilla. Con questa legge si parla davvero di generi, di persone gay, persone lesbiche, persone transessuali e persone bisessuali. È molto più completa, recepisce una cultura del genere che noi coltiviamo da sempre. Non si parla di violenza verso gay o verso lesbiche, ma si parla proprio di una civiltà del genere che deve essere tutelata da questo tipo di legge“, conclude Caloggero.
Oltre all’elaborazione di una legge in grado di punire i comportamenti violenti e discriminatori, serve riscoprire anche quei valori da coltivare per riuscire a costituire una società più equa. Principali protagonisti di questo rinnovamento culturale non possono che essere i più giovani. A tal proposito, è costante e quotidiano l’impegno dell’ala di Arcigay Catania che si occupa delle politiche giovanili. Ma quanto oggi i ragazzi sono responsabilizzati e consci del problema della discriminazione sessuale?
Per Francesco Zappalà, responsabile del Gruppo Giovani, occorre fare alcune distinzioni. “Tutto dipende anche dal substrato in cui crescono”, racconta a NewSicilia. “Un ragazzo, se già ha un substrato culturale e ha toccato la realtà in prima persona o in quanto appartenente alla comunità LGBTQI+, già ha una sensibilità in queste tematiche. I ragazzi, tendenzialmente, sono lo specchio della famiglia in cui crescono e dell’educazione ricevuta a scuola. Se partiamo già con una persona che non ha avuto contatti, si parla semplicemente di quello che si vede e che i media fanno vedere, ovvero un’omosessualità non sempre corretta, e non avendo gli strumenti scolastici perché a scuola si fa poca educazione di genere e sull’orientamento sessuale, già viene più difficile ed è più probabile che cresca in un determinato contesto“.
“Se invece – prosegue Zappalà – il ragazzo ha avuto o esperienza personale o contatto diretto perché ha l’amico gay, l’amica lesbica o l’amico transgender, egli già è molto più sensibile perché nota quella realtà. Perché nasce l’omofobia? Perché se non si conosce qualcosa, per natura umana ciò fa paura e si tende a screditarlo. Nelle nostre battaglie rivendichiamo i nostri diritti, senza nulla togliere agli eterosessuali. Con il matrimonio egualitario non vogliamo togliere qualcosa in diritti e doveri alle coppie eterosessuali, vogliamo solo riconosciuti dei diritti. L’istituzione dei diritti civili è un primo passo, ma bisogna fare ancora dei lavori“.
“Io ho la fortuna di lavorare con il Gruppo Giovani che mi permette di essere trasversale nelle tematiche, non siamo mai monotematici. Penso che l’omofobia si abbatta attraverso l’educazione, come ogni fobia. Perché è la conoscenza di quel determinato vissuto che ti permette di comprendere e di non avere più paura. Ancor prima di queste persone che dicono ‘la normalità è questa’, dobbiamo chiederci cos’è la normalità e cos’è la morale. È molto soggettiva. I latini parlavano di mos maiorum, se capiamo questo passaggio, successivamente capiremo che non esiste più l’imposizione. Chi dice ‘la comunità LGBTQI+ non è normale’, dovrebbe capire che ciò che vede come normalità è solo una struttura sociale imposta da essa. Un modo di pensare strutturato e reiterato nei secoli. La normalità e la moralità dipendono dal soggetto“.
Importante, in questo periodo storico, è il ruolo assunto dai social network e dai media, che se impiegati in maniera scriteriata possono fornire un’immagine sbagliata del prossimo. Per il responsabile del Gruppo Giovani etneo “quando noi andiamo a vedere uno stereotipo estremizzato dell’omosessualità, ciò significa proiettare un’idea sbagliata nella mente di chi non conosce. Oggi, oggettivamente, un’immagine che dà scandalo ‘attira’ di più. Una coppia di ragazzi di spalle che si tiene per mano dà meno visualizzazioni rispetto a un’immagine che dà scandalo o che suscita reazioni multiple. Il Pride non è altro che la manifestazione del nostro urlo di comunità per dire ‘noi esistiamo’ in quanto esseri umani presenti in questa società e vogliamo gridare ad alta voce i nostri diritti e, ovviamente, i nostri doveri. Significa essere equipollenti, sotto il profilo giuridico, a una coppia eterosessuale“.
A proposito dei Pride, ancor oggi c’è chi continua a rendersi protagonista di esternazioni cervellotiche. “Perché non esiste una giornata dell’orgoglio eterosessuale?” è la domanda più gettonata. La risposta, per Zappalà, è di facile elaborazione: “Il movimento di liberazione omosessuale nasce nel 1969 a Stonewall in un pub di New York. È uscita come una battaglia, la comunità LGBT dell’epoca veniva osteggiata e repressa dalla polizia. Noi siamo una minoranza e come minoranza non ci sono ancora degli strumenti giuridici e di tutela nei nostri confronti. Per questo sfiliamo al Pride, per avere le giuste tutele“.
Parlando di stati Uniti, proprio in queste ore l’amministrazione Trump ha cancellato le norme contro la discriminazione transgender in ambito sanitario. Un vero e proprio schiaffo alle uguaglianze se si pensa che proprio nel Paese a stelle e strisce, come detto, sono iniziate le prime lotte da parte di chi voleva riconosciuti diritti e doveri. In questo senso, appare evidente come i modelli politici possano trasmettere messaggi positivi e negativi.
Tante forze politiche, spesso estremiste, “hanno molto consenso nella popolazione perché la propaganda, soprattutto in questo periodo, è basata sempre e solo online. Trump stesso ha fatto propaganda su Twitter. I social vengono sfruttati in modo tale da avere una visibilità enorme, ormai i politici di oggi si comportano come degli influencer, utilizzano il mezzo Internet come propaganda. Ciò ci fa capire quanto sia importante non solo scendere in piazza, perché scendere in piazza significa far capire al ‘popolino’ al ‘radical chic’ da salotto borghese che noi ci siamo. Solo così puoi far capire che noi ci siamo, siamo una realtà e come tale vogliamo i nostri diritti e i nostri doveri“.
“Soprattutto – sottolinea Francesco – vogliamo vivere la vostra vita in maniera serena, senza avere paura di avere un vicino di casa omofobo che ci bastona o ci insulta. La violenza psicologica fa tanto male quanto quella fisica, ti traumatizza. Non è meno importante rispetto a quella fisica, il non avere un livido non significa che essa sia inferiore come violenza. In certi casi è anche di più, specialmente se viene fatto un ‘lavaggio del cervello’. Questo come si può arginare? Facendo educazione nelle scuole. Nelle scuole c’è il futuro, ci sono i ragazzi che sono il futuro della società”.
“A volte capita che qualche preside sia refrattario a questo e che dica ‘i ragazzi non sono pronti’. È una cosa non vera. Se educhiamo i ragazzi in modo corretto facendo educazione di genere ed educazione sessuale, solo così si può sconfiggere questo demone della società. Se educhiamo i ragazzi, tendenzialmente si educano anche i genitori o, comunque, in futuro i ragazzi saranno genitori. Qualora avessero riscontro futuro con un figlio omosessuale e quant’altro, allora direbbero ‘io chi sono per poter giudicare’?“, conclude Zappalà.