Che siano appena adolescenti o persone adulte con un passato ricco di esperienze alle spalle, hanno tutti una storia da raccontare e un mondo da difendere o da cambiare in positivo nella speranza di un futuro migliore per l’umanità: si tratta delle centinaia di attivisti che lavorano senza sosta in tutto il globo per difendere i diritti umani, da quello all’istruzione e al giudizio equo di fronte alla legge a quello alla salute.
I loro nomi spesso appaiono sulle pagine dei giornali, all’interno di post sui social o in servizi giornalistici in televisione, ma solitamente si conosce molto poco delle loro storie, dei rischi delle loro attività e dei giudizi a cui vanno incontro quotidianamente per difendere i valori in cui credono.
Per anni, anche quando i loro volti erano utilizzati in campagne pubblicitarie o gli episodi che li riguardavano erano narrati sui libri e discussi in contesti pubblici, tanti attivisti hanno agito nell’indifferenza della società e delle autorità. Recentemente, però, alcuni di loro hanno deciso di “alzare la voce” al fine di coinvolgere non solo le masse, ma anche il potere, nelle loro iniziative.
Il caso mediatico più recente è sicuramente quello della 16enne svedese Greta Thunberg, nominata donna dell’anno nel suo Paese d’origine e candidata al Premio Nobel per la Pace, che con i suoi accorati appelli per salvare l’ambiente dagli effetti devastanti dai cambiamenti climatici è riuscita ad appassionare e ispirare milioni di persone in tutto il mondo.
Proprio lo scorso venerdì, 15 marzo, in numerosi Paesi si è celebrato il “Friday For Future”, una serie di manifestazioni pacifiche in piazze e luoghi pubblici (ben 182 solo in Italia, che ha visto molte città coinvolte, comprese Palermo e Catania). Un successo incredibile, considerando che a scuotere le coscienze è stata una comune adolescente.
La stessa passione che vediamo negli occhi di Greta si può osservare in un’altra ragazza, anche lei estremamente giovane ma pronta a tutto per difendere i diritti civili: si tratta di Malala Yousafzai, pakistana di 21 anni, che ha avuto il coraggio di sfidare il potere del regime talebano nel suo Paese per garantire alle studentesse il diritto all’istruzione.
Già a 11 anni, Malala curava un blog per l’emittente britannica BBC: le sue parole, drammaticamente sincere e vere nella loro semplicità, mostravano il lato più cruento del regime talebano. E se lo spazio sul web della ragazza sembrava un semplice esercizio del diritto della libertà di parola, per il potere era una grave minaccia.
Per questo, nel 2012, quando aveva solo 15 anni, Malala è rimasta vittima di un terrificante attentato: le spararono vicino alla testa. Fortunatamente, l’atto violento non ha ucciso né lei né la sua voglia di vivere e difendere l’amore per l’istruzione e la libertà. La sua lotta è continuata anche fuori dal Pakistan e il suo impegno l’ha portata a diventare la persona più giovane a essere insignita del premio Nobel per la Pace nel 2014.
Nonostante i grandi risultati, l’attivista non smette un attimo di ricordare la sua fortuna e di battersi per chi ogni giorno rischia la vita o la felicità nel mondo, specialmente se si tratta di bambini. Se il fato ha salvato Malala, purtroppo lo stesso non si può dire di altri grandi attivisti per i diritti dell’infanzia: uno di loro è Iqbal Masih, 12enne impiegato in una fabbrica di tappeti e ucciso nel 1995 in Pakistan. Unica colpa: aver lottato pacificamente contro lo sfruttamento del lavoro minorile, un sistema di violenza ormai collaudato e disumano.
Anche se sono le nuove generazioni a “stupire” per il numero incredibile di attivisti proposti alla società, non bisogna dimenticare dei loro predecessori e dei loro attuali “colleghi” adulti. Tra questi vi è Nasrin Sotoudeh, iraniana 55enne, avvocata militante per i diritti umani. Pochi giorni fa, la pena a lei inflitta, dopo un processo sommario, solo per essersi mostrata in pubblico senza velo e aver presumibilmente insultato la Guida Suprema sciita, Ali Khameini, e altre autorità, ha destato lo sdegno dell’umanità intera: ben 33 anni di carcere e 148 frustate. “È una minaccia alla sicurezza nazionale”, dice chi l’ha condannata, mentre il mondo intero la sostiene e vede la sua condanna come uno “schiaffo” morale ai diritti umani basilari.
La maggior parte degli attivisti provengono da Paesi sconvolti da guerre e dittature. Eppure neanche l’Italia si può dichiarare estranea alla lotta per i diritti e la giustizia. In particolare, sono da ricordare gli esempi dei magistrati anti-mafia Falcone e Borsellino, il coraggio di Franca Viola (prima donna a rifiutare il matrimonio riparatore con un malvivente siciliano nel 1965, a soli 17 anni, diventando anche simbolo dell’emancipazione femminile) e i tanti giornalisti morti per “aver parlato troppo”, come i siciliani Mario Francese, Peppino Impastato e Maria Grazia Cutuli o la romana Ilaria Alpi, assassinata in Somalia nel 1994.
Si tratta di lotte estremamente diverse ma accomunate da due fattori: la forza di volontà e il sogno di vedere le prossime generazioni crescere libere da ogni forma di oppressione.
Fonte immagini: Ansa/Unicef