Il titolo del romanzo non lascia dubbi sul tema delle pagine che andremo a leggere.
“Farmaco” è un abbraccio pietoso verso una malattia denunciata da uno studio clinico preposto a scrivere nero su bianco una diagnosi seguendo l’occhio altrettanto clinico dei membri della famiglia vicini al congiunto affetto dalla patologia. Quando la piaga prende di mira l’anima, l’azione curativa è attraversata da un lungo processo di riconoscimento intento ad appannare i colori con false sfumature di mezze verità.
“Farmaco” è il romanzo di Almudena Sánchez eletta tra i 10 migliori scrittori trentenni in Spagna, oggi pubblicata in Italia con la sua potente scrittura autobiografica sulla diagnosi di depressione maggiore endogena.
“Farmaco” pone l’attenzione sulla salute mentale che oggi, nel 2024, è ancora un tatuaggio del pregiudizio verso la malattia invisibile fino a quando non perde la destrezza di nascondere il pensiero dentro un meccanismo sbagliato.
“La malattia più grande, invisibile, inaspettata, distruttiva, egoista, insana, paranoica, squallida, lurida e tendenziosa che abbia mai avuto“.
Nel romanzo la scrittrice maiorchina scrive di sé per essere “farmaco” ad altri sconosciuti sé sopraffatti dalla mina mentale girovaga senza coscienza del domani. Una guerra combattuta raccogliendo forze impensabili fino al momento della deflagrazione. Una nube distruttiva del progetto di vita scaraventato in una dimensione parallela al coma profondo, a occhi aperti però.
“Virginia Woolf difende noi malati depressivi. Era ora che la fragilità venisse alla ribalta. Addio al macho e al sacrificio femminile perpetuo. Che la morbidezza, il passo falso, lo strappo delicato appaiano nei libri. Senza piegarci sotto tutti quei colpi. Senza vanità né orgogliosa vendetta: piangere cinque grossi lacrimoni che pesino sul viso, come quando eravamo bambini. […] Che ci sia pace. È giusto per l’umanità che l’inciampo trionfi. Che venga nominato, che si senta, che vibri. Gettiamo nell’inceneritore la moda dell’autoaiuto e piangiamo, piangiamo, scoperchiamo il vaso della desolazione“.
C’è un prima e c’è un dopo nella vita della Sánchez. Il giovane sorriso interrotto dal malessere arbitrario di lacrime come rifugio di protezione. Gli antidepressivi si danno da fare per dare un freno agli effetti devastanti dei sintomi diversi tra loro con un imbroglio psicologico in comune, intanto non mancano le oasi di leggerezza difensive del sorriso risoluto a restare.
Il “Farmaco” si propone come cura quanto il potere salvifico della scrittura. La Sánchez ha scelto di affiancare la terapia ufficiale a un manoscritto cui consegnare una vita libera dalla pressione dei sintomi.
“Scrivere i propri pensieri significa cominciare a viverli”.
Al lettore non sfugge la narrativa nervosa delle tappe prima di guarire dal male. La fase acuta della malattia convoca spettri indesiderati che arraffano il respiro tranquillo pur di invadere senza pietà ogni cellula felice della ragione. La formula chimica del farmaco non ha mai smesso di chiedere sostegno ad altre terapie funzionali con l’assoluto divieto di chiamarle cure alternative. Oltre la scrittura l’arte creativa sposta con successo l’attenzione lontano dalle tarme mentali dai nomi sinistri quali nevrosi, ossessioni, psicosi, compulsioni, tutto il nero dell’anima esploso all’improvviso.
A distanza di anni Almudena Sánchez ha voluto ripercorrere una fetta di vita che, da un giorno all’altro, si è rivoltata contro le incrostazioni dell’anima, fino a quel momento considerate incapaci di dichiarare guerra.
Adesso che la vita e il coraggio si sono ritrovate di nuovo insieme, la Sánchez è più che mai convinta che “il dramma sorge dalla commedia e la vita dalla morte“.
La sua testimonianza si assume la responsabilità di essere contributo fattivo al pregiudizio della malattia mentale. In molti casi si ha paura di chiedere aiuto per non esporsi al giudizio negativo della società. La corsa tempestiva al “Farmaco” spesso si rivela un miracolo chimico per il paziente sulla soglia del tunnel senza uscita.
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