ITALIA – Il discorso di Fedez in occasione del Concerto del Primo maggio non è passato affatto inosservato. Il rapper ha espresso il suo parere sulla pandemia focalizzandosi su coloro che, per forza di cose, sono rimasti a casa.
Ma non è stato il solo tema trattato: Fedez, infatti, si è espresso – a tratti anche caldamente – anche sul Ddl Zan, legge contro l’omotransfobia, misoginia e abilismo, ancora in standby e non approvata in Senato.
Fedez fa nomi e cognomi
Nomi e cognomi sono sbucati fuori, assumendosi tutta la responsabilità delle affermazioni. Un attacco diretto e duro verso la Lega e alcuni rappresentanti, difendendo a spada tratta coloro che sono al centro della citata legge.
Prima di salire sul palco, però, a detta del rapper, pare che la Rai abbia “censurato” il suo discorso, chiedendo esplicitamente di vedere in anticipo il testo dell’intervento di Fedez prima di decantarlo in occasione del Concertone.
Sarebbe stato invitato a non nominare partiti o politici che, durante gli anni, invece, si sarebbero scagliati duramente contro gli omosessuali e non solo. Fedez, di sua spontanea volontà, avrebbe poi scelto di non seguire tali direttive.
Bufera mediatica sui social
Sui social, bufera mediatica tra approvazioni, applausi “virtuali” e – seppur poche – contestazioni. Anche Giuseppe Conte, ex presidente del Consiglio, ha dedicato una frase semplice e concisa sulla questione: “Io sto con Fedez“.
Inutile dire che il video del discorso del rapper è diventato immediatamente virale ovunque con milioni di condivisioni e visualizzazioni. Il popolo del web ha espresso la sua opinione in merito alla questione dibattuta e – da sempre – al centro di polemiche.
La telefonata con la Rai
C’è dell’altro. Il filmato della telefonata con i dirigenti della Rai e in particolar modo con la vicedirettrice di Rai 3 è stata resa nota da Fedez sui suoi profili social a seguito della smentita della censura da parte dell’emittente televisiva.
“Mi esortano ad adeguarmi ad un sistema dicendo che sul palco non posso fare nomi e cognomi“, scrive il marito della Ferragni. Nonostante ciò, la Rai si difende sostenendo che si tratta di un montaggio e che, invece, i dirigenti avrebbero soltanto detto che non sarebbe stato opportuno indicare nomi e cognomi per l’impossibilità di controbattere per gli interessati.
A che punto è il Ddl Zan?
Ora tocca chiedersi a che punto sia il Ddl Zan e quale sia il contenuto della legge giunta in Senato il 5 novembre 2020 dopo il via libera della Camera. Il 28 aprile 2021, con 13 sì e 11 no, è stata decisa la calendarizzazione dopo 5 mesi di rinvii, arresti e dissensi.
Si tratta – in questa fase – di rivedere il testo, per arrivare alla definitiva approvazione. La relazione di avvio lavori è in programma per il 6 maggio.
C’è ancora tanta incertezza: la maggioranza è assolutamente divisa. Da una parte abbiamo Pd, M5s, Leu e Italia viva e dall’altra il centrodestra che sostiene che il Ddl non sia essenziale.
Il testo, composto di 10 articoli, ha fatto scendere in campo anche la Cei, dato che si tratta di un decreto molto delicato che vuole – a tutti i costi – combattere la discriminazione e “non può e non deve perseguire l’obiettivo con l’intolleranza, mettendo in questione la realtà della differenza tra uomo e donna“.
Il contenuto del Ddl Zan
Pochi elementi ma essenziali. Il Ddl Zan chiede la creazione di centri antidiscriminazione e di case rifugio per le vittime di episodi di discriminazione, un po’ come succede per le donne costrette a subire episodi di stalking.
Viene anche prevista l’istituzione della Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia (17 maggio) per “promuovere la cultura del rispetto e dell’inclusione nonché di contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivati dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere, in attuazione dei princìpi di eguaglianza e di pari dignità sanciti dalla Costituzione“.
Ma non è tutto: si vuole anche stabilire una rilevazione statistica per elaborare una strategia nazionale di lotta contro ogni tipologia di discriminazione.
Reclusione e multa
Ancora, reclusione fino a 18 mesi o multa fino a 6mila euro per chi istiga a commettere o commette atti di discriminazione fondati su sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere o disabilità.
Si va anche più a fondo: carcere da 6 mesi e fino a 4 anni per chi – per gli stessi motivi – istiga a commettere o commette violenza. La reclusione da 6 mesi a 4 anni riguarda chi partecipa o aiuta organizzazioni che hanno fra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza.
Pena aumentata fino alla metà per chi compie qualsiasi reato con finalità di odio o discriminazione. Chi viene condannato per istigazione alla violenza e alla discriminazione può ottenere la sospensione condizionale della pena se lavora in favore delle associazioni che tutelano le vittime dei reati.
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