CATANIA – Nessuno può negare che il violento sisma che ha sconvolto la popolazione del capoluogo etneo nella notte tra Natale e Santo Stefano, di magnitudo 4.8, abbia scatenato il panico tra i cittadini. A distanza di diversi giorni, la gente ne parla e ricorda l’incubo di quei brutti momenti e delle sue drammatiche conseguenze.
Si tratta di una reazione normale e perfettamente giustificabile, specialmente se si prendono in considerazione gli evidenti danni agli edifici, i diversi crolli e l’incredibile numero di individui coinvolte, tra feriti, sfollati e persone sotto choc o che hanno perso tutto in pochi attimi.
Nonostante ciò, è necessario anche affermare che il livello di panico manifestato pubblicamente, durante il pranzo con i parenti, le chiacchierate con gli amici e i post sui social network è stato perfino superiore a quanto ci si potesse aspettare.
“Ho pensato di morire”, “Non sapevo cosa fare”, “E se arrivasse un’altra scossa e ci uccidesse tutti?”: tutte queste frasi sono state pronunciate da buona parte dei catanesi, compresi quei fortunati che non hanno subìto gravi conseguenze, come lesioni o la perdita della casa, ma che sono rimasti comunque traumatizzati dal brutto terremoto.
Farsi prendere dal terrore e “attendere” costantemente il prossimo disastro sembra essere diventato un atteggiamento molto diffuso, specialmente tra gli italiani, che ormai pensano al peggio anche di fronte agli eventi più comuni e ben meno problematici del tremendo sciame sismico di pochi giorni fa: anche delle semplici piogge, ad esempio, possono scatenare timore e generare allarme.
Un tempo di fronte alle condizioni meteo avverse ci si proteggeva con cappotti pesanti, ombrelli e una maggiore attenzione ai pericoli in strada. Oggigiorno, invece, ogni perturbazione viene considerata quasi “apocalittica”, anche se di lieve intensità, e provoca richieste continue di intervento alle autorità competenti.
E se è vero che spesso allerte lanciate dai meteorologi si sono rivelate tragicamente attendibili e reali (basta ricordare il disastro delle alluvioni “killer” nel settore occidentale della Sicilia a inizio novembre), sempre più spesso capita che numerosi utenti presentino, attraverso immagini, video e/o commenti, come disastrose situazioni che in realtà sono sì pericolose ma comunque da considerare nella norma in determinati periodi dell’anno, amplificando la paura di chi teme il maltempo e spingendo alcuni individui ad avere attacchi d’ansia o ad attuare misure estreme e talvolta non espressamente indicate dalla Protezione Civile come necessarie (non uscire di casa, non guidare per timore di rimanere coinvolti in incidenti).
La nuova “mania” di condividere contenuti multimediali relativi agli eventi naturali su Facebook, Twitter, Instagram, Whatsapp e Messenger spesso non migliora di certo la situazione: infatti, amplifica la già dilagante inquietudine di chi teme per sé e i propri cari (specialmente per i più piccoli, gli anziani e i disabili) o ha la fobia della pioggia, della neve, dei terremoti o di qualsiasi forma di “ribellione” della natura.
Per loro, anche una minima concitazione di amici e parenti può avviare un processo “fantasioso” che esagera problemi e disagi reali facendoli diventare perfino peggiori di quanto non siano se affrontati con criterio e razionalità.
Ciò non vuol dire che i fenomeni naturali non siano mai nocivi o preoccupanti (lo stato d’emergenza dichiarato per diversi comuni del Catanese dopo il sisma del 26 dicembre ne è un’evidente dimostrazione), ma che, specialmente quando si usa un mezzo potente come il web, valutare la situazione prima di commentarla o di diffondere notizie allarmistiche o addirittura false (gli sciacalli nei momenti di difficoltà purtroppo non mancano mai) potrebbe essere d’aiuto a chi deve fronteggiare momenti spiacevoli o disagevoli.