CATANIA – Momento difficile e problemi giudiziari per Mario Ciancio Sanfilippo, noto imprenditore nel settore editoriale e in quello immobiliare, colpito nella giornata di ieri da una misura preventiva di carattere patrimoniale, che ha portato al sequestro e alla confisca di beni per un valore complessivo ancora in via di quantificazione ma che ammonta a non meno di 150 milioni di euro.
Il provvedimento è scattato a seguito di un’accurata e lunga indagine da parte dei militari del Ros (raggruppamento operativo speciale), della Sezione Anticrimine e di altri reparti dei carabinieri, che hanno approfondito i presunti rapporti dell’editore con l’ambiente mafioso in un periodo compreso tra il 1974 e il 2013.
Il procedimento per la confisca e il sequestro dei beni di Mario Ciancio Sanfilippo, che ha colpito anche le testate facenti parte del gruppo editoriale a suo nome (tra le più note, “La Sicilia”, “Gazzetta del Mezzogiorno” e le emittenti televisive “Telecolor” e “Antenna Sicilia”), è avvenuto a seguito dell’accertamento della “pericolosità sociale qualificata” dell’editore.
Sono stati 3 i filoni tematici seguiti dalle forze dell’ordine per ricostruire il lungo e complesso rapporto tra gli esponenti di Cosa Nostra e l’ormai ex direttore del quotidiano “La Sicilia” (le dimissioni sono state annunciate ieri, nonostante l’imprenditore abbia smentito ogni tipo di coinvolgimento nei capi d’accusa formulati a suo carico):
- La verifica dell’esistenza di rapporti personali di Mario Ciancio Sanfilippo con esponenti di Cosa Nostra già dai tempi in cui l’associazione mafiosa era nelle mani di Giuseppe Calderone (anni Settanta) e che negli anni si sarebbero manifestati con una serie di scambi di favore reciproci;
- La linea editoriale delle testate giornalistiche dirette dall’imprenditore che, secondo quanto emerso dal provvedimento del tribunale di Catania, avrebbe “messo la sordina sugli interessi economici dei Santapaola nel mondo editoriale e nel mondo istituzionale”. Spesso, infatti, sembra che l’editore evitasse di esporsi contro personaggi mafiosi non colpiti pubblicamente da misure cautelari o detentive;
- La conferma di alcuni interventi mafiosi negli interessi economici di Mario Ciancio Sanfilippo a Catania.
Vista la mancanza del requisito di attualità (gli ultimi fatti confermati risalirebbero infatti al 2013) e l’età avanzata dell’imprenditore, si è deciso di non procedere con la restrizione personale, ma semplicemente con i provvedimenti contro il patrimonio, risultati di procedimenti avviati già dal 2015.
Per quanto concerne i rapporti tra Ciancio Sanfilippo e Cosa Nostra, sono emersi nelle seguenti specifiche vicende imprenditoriali in epoca recente, le più note delle quali riguarderebbero il Parco Commerciale Porte di Catania e il Sicily Outlet.
Nel caso delle Porte di Catania, Ciancio è coinvolto in qualità di socio, assieme a Giovanni Vizzini (la cui figlia è coniugata con Vincenzo Rappa, che appartiene a una famiglia palermitana, di cui alcuni membri sono stati condannati per fatti vietati dall’art. 416 bis c.p.) e Tommaso Mercadante (nipote di Tommaso Cannella e figlio di Giovanni Mercadante, entrambi condannati per fatti di cui all’art. 416 bis c.p.). La realizzazione dell’opera venne affidata all’imprenditore Basilotta, sebbene vi fosse l’intendimento di coinvolgere l’imprenditore Mariano Incarbone (condannato con provvedimento definitivo come membro e affiliato della famiglia Santapaola).
Per quanto riguarda invece il Sicily Outlet, Ciancio risulta proprietario dei terreni su cui è sorta l’opera e socio nella Dittaino Development. Parte dei lavori per il Parco Commerciale, inoltre, sono stati eseguiti da Basilotta e Incarbone.
Nel corso della conferenza stampa sull’operazione dei carabinieri ai danni di Mario Ciancio Sanfilippo è stata messa in evidenza la difficoltà di raccogliere il materiale necessario all’investigazione, che ha comportato un grosso ritardo nelle indagini.
Il procuratore Carmelo Zuccaro ha sottolineato che “le indagini giudiziarie sono estremamente complesse, specie in un clima difficile”, ma anche che è giunto il momento di “abbattere le barriere“.
Sul clima difficile che ha accompagnato le attività d’indagine, Zuccaro ha affermato: “Sul clima bisogna ancora lavorare, ma le istituzioni hanno il dovere di creare un clima di fiducia non solo con le parole, ma anche con i fatti“. Detto questo, il procuratore ha ringraziato anche chi prima di lui aveva tentato di velocizzare le indagini, l’ex procuratore Salvi, e tutti i magistrati e gli esperti a livello internazionale che hanno fatto sì che si creassero le condizioni necessarie per portare a buon fine l’attività investigativa e ottenere i risultati sperati.