SIRACUSA – Alle prime luci dell’alba di oggi, su delega della Procura della Repubblica Direzione Distrettuale Antimafia, i carabinieri del Comando Provinciale di Siracusa hanno inferto un ennesimo duro colpo alle piazze di spaccio aretusee, con una delle più vaste operazioni antidroga condotte in provincia negli ultimi anni.
Con un dispositivo composto da oltre 150 carabinieri, tra cui quelli dello Squadrone Eliportato Cacciatori Sicilia di Sigonella, del Nucleo Cinofili di Nicolosi e del 12 ° Nucleo Elicotteri di Catania Fontanarossa, i militari dell’Arma hanno eseguito, nella zona di via Algeri del capoluogo aretuseo, 29 provvedimenti cautelari (22 in carcere, 6 agli arresti domiciliari e un obbligo di dimora) emessi dal Tribunale di Catania Ufficio GIP, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Catania, nei confronti di altrettanti soggetti ritenuti responsabili di aver preso parte a un vasto sodalizio criminoso dedito al traffico, trasporto, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti. Altri due soggetti, colpiti da analoghe misure cautelari, sono risultati irreperibili e sono al momento attivamente ricercati.
I reati contestati a vario titolo sono: associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, aggravata dall’uso delle armi, dall’impiego di minori di 18 anni e dal fatto che lo spaccio avveniva nei pressi di un istituto scolastico della zona, nonché detenzione e porto abusivo di armi da sparo anche clandestine.
L’operazione segue altre analoghe svolte negli ultimi anni, denominate Euripide, Aretusa, Bronx e Tonnara, che hanno progressivamente consentito di mettere fine all’operatività delle più note piazze di spaccio del capoluogo siracusano e che hanno agevolato l’intento del gruppo di via Algeri di concentrare su di sé la fetta di mercato rimasta scoperta.
Data l’estrema rilevanza dell’operazione odierna, la Procura della Repubblica DDA di Catania e il Comando Provinciale dei carabinieri di Siracusa hanno organizzato una conferenza stampa via streaming per illustrarne i dettagli ai media. Le indagini nei confronti del sodalizio criminale, avviate dai carabinieri del Nucleo Investigativo a novembre 2018 e protrattesi fino al luglio 2019, declinatesi mediante servizi di osservazione, controllo e pedinamento con fotoriprese e intercettazioni telefoniche e ambientali, hanno permesso di acclarare l’esistenza di un sistema criminale, capeggiato da Maximiliano Genova, composto da tre nuclei familiari, che gestivano un lucroso traffico di stupefacenti spacciando cocaina, hashish, marijuana, crack e metanfetamine. Il cospicuo flusso di denaro generato, oltre ad arricchire il capo del sodalizio, veniva utilizzato per nuovi approvvigionamenti e per la costante remunerazione delle figure minori, quali custodi, corrieri, staffette e spacciatori al dettaglio.
Lo spaccio avveniva all’interno dei portoni e negli androni interni alle scale delle case popolari, con gli accessi protetti da cancelli costruiti abusivamente dagli spacciatori, così da impedire o ritardare irruzioni da parte delle forze dell’ordine. La capacità intimidatrice del gruppo era tale da imporsi anche sugli altri residenti nelle palazzine che, estranei alle attività illecite, non erano in possesso delle chiavi dei cancelli abusivi ed erano così costretti, per entrare e uscire, a chiedere il “permesso” alle sentinelle armate che, a turno, presidiavano il territorio ininterrottamente per l’intero arco delle 24 ore.
I luoghi di operatività della piazza sono le palazzine di via Algeri poste sul lato mare, situate a est del centro abitato di Siracusa, luogo molto favorevole per gestire attività illecite: grazie alla loro particolare conformazione urbanistica, l’accesso delle forze dell’ordine è infatti particolarmente problematico e subito evidente. La topografia della zona ha poi permesso a vedette ben posizionate sui tetti dei palazzi di avvisare tempestivamente gli spacciatori al dettaglio dell’arrivo di pattuglie delle forze dell’ordine, tramite ricetrasmittenti, individuandole anche grazie a videocamere collocate in punti strategici.
Tali caratteristiche della piazza di spaccio hanno agevolato il gruppo di via Algeri a concentrare su di sé l’attività del traffico di droga, acquisendo in tal modo la maggiore fetta di mercato rimasta scoperta, soprattutto dopo la chiusura delle piazze Bronx e Tonnara. Le indagini hanno permesso di accertare che la zona era costantemente presidiata, giorno e notte, da spacciatori e vedette ed era organizzata con più turni di lavoro, una vera e propria “centrale” dello spaccio aperta 24 ore su 24.
L’alternanza dei turni di lavoro, la vigilanza e controllo del territorio per avvisare della presenza delle Forze di Polizia coloro che effettuavano lo spaccio terminale, il sostegno agli associati e alle famiglie di coloro che venivano arrestati, l’esistenza di vere e proprie basi logistiche, la suddivisione dei compiti, sono tutti elementi estremamente significativi che hanno permesso di accreditare l’esistenza di una consorteria stabile, organizzata e collaudata nel tempo, capace di creare un giro di affari da 25mila euro al giorno, con profitti tanto ingenti da aggirarsi sui 10mila euro al giorno. I guadagni erano così fiorenti che il sodalizio di via Algeri aveva aperto addirittura delle vere e proprie trattative per la vendita tout court della piazza di spaccio ad altri gruppi criminali della città.
I singoli pusher facevano riferimento, per le esigenze contingenti dello spaccio e per la rendicontazione delle attività, a specifici locali che erano stati denominati “ufficio” e “magazzino“. Il primo era una vera e propria base logistica, ossia il luogo dove avvenivano le riunioni del gruppo e la ricezione dello stupefacente da parte dei fornitori, dove si effettuava la cottura della cocaina, dalla quale veniva ricavato il crack, dove si procedeva al confezionamento della sostanza e alla distribuzione delle dosi (di diverse tipologie) agli spacciatori incaricati della vendita al dettaglio. L’ufficio era ubicato nelle abitazioni delle famiglie Cacciatore e Linares, che si sono avvicendate nella gestione.
Nel cosiddetto “ufficio” gli addetti ricevevano i proventi delle vendite da parte degli spacciatori e tenevano i ‘registri contabili‘ sui quali rendicontavano le attività quotidiane. Il “magazzino” invece era il luogo (ubicato nelle abitazioni dei magazzinieri incaricati), dove venivano stipate e nascoste le forniture di stupefacente, ovvero le quantità in eccesso che transitavano dall’ufficio per essere trattate e contabilizzate. Tale strategia era finalizzata a evitare il rischio di ingenti sequestri in caso di perquisizioni nell’ufficio.
La sostanza presente nel magazzino veniva anch’essa contabilizzata dai magazzinieri che facevano il resoconto di ciò che consegnavano e delle giacenze. La sostanza, su richiesta degli addetti all’ufficio, veniva trasferita per la cottura, il taglio e il confezionamento all’ufficio. L’esistenza di una struttura esterna dove si nascondevano i grossi quantitativi di sostanza stupefacente, si percepiva sin dall’inizio delle indagini.
Un altro particolare emerso nel corso delle investigazioni è stato il ruolo attivo svolto, in seno al gruppo, dalle donne, le quali rivestivano compiti operativi precisi: gestivano gli approvvigionamenti di droga e si occupavano del confezionamento fino alla consegna della sostanza ai pusher. Per le abilità manifestate dalle indagate nella gestione delle attività, le stesse sono da considerarsi vere e proprie “donne manager” della droga, in grado di sostituire gli uomini negli affari criminali.
Anche i figli minori degli indagati assistevano puntualmente a tutte le operazioni relative al traffico degli stupefacenti che avveniva a casa Cacciatore, in quanto: erano presenti quando il padre e la madre cucinavano e confezionavano le sostanze di vario genere trattato dal gruppo; erano presenti durante le riunioni e gli incontri con spacciatori e fornitori; erano presenti ai conteggi e talvolta aiutavano negli stessi; effettuavano telefonate per conto dei genitori per comunicare con il magazzino e fare recapitare lo stupefacente. I minori di un altro gruppo familiare effettuavano invece regolarmente il proprio turno di spaccio o vedetta, come riscontrato da riprese video e intercettazioni e come confermato dalla presenza dei loro nomi all’interno dei registri contabili sequestrati.
Sulla base di quanto documentato nel corso dell’indagine, si è potuto stabilire come si svolgeva l’attività giornaliera del gruppo. In particolare:
- lo spaccio al dettaglio era svolto in tre turni di lavoro: mattina (dalle 6 alle 14), pomeriggio (dalle 14 alle 22) e notte (dalle 22 alle 6);
- gli spacciatori di turno si rifornivano nell’ufficio dove avveniva anche la consegna del denaro provento dello spaccio;
- gli addetti all’ufficio annotavano i movimenti sul quaderno (libro mastro), riportando sia la quantità consegnata, con a fianco il nome dello spacciatore di turno, sia i soldi ricavati dalla vendita della sostanza;
- gli spacciatori si rifornivano a inizio turno e tornavano nell’ufficio ogni volta che esaurivano la sostanza per rifornirsi nuovamente;
- talvolta gli spacciatori dal luogo di spaccio, individuato in via Algeri 118, raggiungevano l’ufficio di via Algeri 112 passando dai tetti delle palazzine, riducendo così i rischi di eventuali controlli delle forze dell’ordine;
- in ufficio l’attività era continua e gli addetti lavoravano freneticamente di giorno e di notte;
- appena arrivava un carico i coniugi Cacciatore provvedevano a contabilizzare sul quaderno, trattenevano una parte della sostanza e inviavano al magazzino la parte in eccesso. In caso di carenza di stupefacente in ufficio Mario Cacciatore ed Erminia Puglisi chiamavano in magazzino per fare giungere un nuovo quantitativo da confezionare e spacciare;
- nell’ufficio si procedeva con la cottura della cocaina per ricavare il crack, si tagliava e si confezionava la sostanza suddividendola in palline, impacchettate in bustine di colore diverso in modo da individuare subito le diverse tipologie di stupefacente e la relativa quantità;
- in ufficio avveniva settimanalmente il pagamento degli stipendi, prontamente annotato sul quaderno;
- in ufficio si svolgevano le riunioni con i fornitori Greco e Visicale (e i loro corrieri), si contrattavano gli approvvigionamenti, si stabilivano i turni di lavoro, si effettuava la contabilità, si discutevano i problemi del gruppo e si pianificavano le strategie per eludere i controlli e i sequestri delle forze dell’ordine;
- anche Maximiliano Genova si recava periodicamente in ufficio, dove veniva aggiornato dagli addetti dell’ufficio sull’andamento delle attività, riceveva le somme di denaro guadagnate con lo spaccio e tratteneva anche per sé una parte di stupefacente;
- in ufficio si tenevano anche le riunioni del gruppo nelle quali Maximiliano Genova aveva il potere decisionale per tutto ciò che riguardava il sodalizio, anche se gli addetti all’ufficio godevano spesso di una certa autonomia quando Genova si assentava (spesso il soggetto si rendeva irreperibile per giorni interi). In tali casi gli addetti all’ufficio provvedevano ad acquistare nuove forniture di stupefacente, pagandone una parte in acconto e annotando gli importi sul quaderno; pagavano gli stipendi agli spacciatori, alle vedette ai magazzinieri e ai familiari dei detenuti affiliati al gruppo.
Altro elemento che contraddistingueva il sodalizio malavitoso era il mantenimento degli associati detenuti, essenziale per il buon andamento della piazza, al fine di evitare delazioni o collaborazioni da parte degli arrestati. Tutti gli affiliati al gruppo percepivano uno stipendio parametrato in base alla mansione e al ruolo svolto all’interno dell’organizzazione. In dettaglio, lo stipendio:
- settimanale dei magazzinieri era di 250 euro a settimana;
- settimanale degli spacciatori era di 400 euro per turni giornalieri di 8 ore;
- di CACCIATORE Mario e PUGLISI Erminia era di 250 euro ciascuno a settimana; gli stessi percepivano inoltre 250 euro a settimana per la gestione dell’ufficio, con introiti complessivi quindi di circa 3mila euro mensili.
Le indagini dei carabinieri hanno permesso di evidenziare, altresì, l’estrema pericolosità del gruppo, i cui appartenenti non esitavano a usare la violenza e ad armarsi per regolare le “beghe interne”. Emblematico il pestaggio di Marco Capodicasa, picchiato selvaggiamente a opera dei pusher poiché aveva acquistato una dose di cocaina e si era allontanato senza pagarla. La spedizione, ripresa e registrata in modo occulto dal sistema di videoripresa collocato dai carabinieri, solo per la pronta reazione del malcapitato – che riusciva guadagnare la fuga – non ha avuto più gravi conseguenze.
Il contenuto delle intercettazioni attesta che il gruppo e in primis il suo capo Maximiliano Genova, incuteva un vero e proprio timore reverenziale negli abitanti della zona, imponeva la presenza degli spacciatori a tutte le famiglie che abitavano nelle palazzine, le quali si trovavano costrette a subirne la costante presenza, obbligate talvolta a garantire copertura e a nascondere lo stupefacente nelle abitazioni di persone incensurate che, per timore di ritorsioni, accettavano di collaborare.
Durante le indagini sono stati eseguiti numerosi riscontri che hanno portato all’arresto di 10 persone e al complessivo sequestro di: 270 grammi di hashish; 1.470 grammi di marijuana; 1.850 grammi di cocaina; 25 grammi di metanfetamine, 2 pistole semiautomatiche, un revolver, 2 pistole artigianali a penna.
L’attività ha interessato anche gli uffici giudiziari minorili etnei, atteso che a carico di un 17enne componente del sodalizio è stata contestualmente eseguita una misura di custodia cautelare in Istituto Penale Minorile emessa dal GIP del Tribunale per i Minorenni di Catania, su conforme richiesta della Procura della Repubblica presso quel Tribunale.
Inoltre, poiché l’indagine ha coinvolto tre interi nuclei familiari, i carabinieri hanno dovuto provvedere alla collocazione dei minorenni rimasti soli a seguito della cattura dei loro genitori. In tale quadro, in ottemperanza alle disposizioni della Procura per i Minorenni di Catania, contemporaneamente all’esecuzione delle misure cautelari, sono stati eseguiti – in collaborazione con i Servizi Sociali del Comune di Siracusa – anche provvedimenti civili emessi dal Tribunale per i Minorenni di Catania a tutela di 6 minori, collocati in strutture protette, anche in applicazione del Protocollo denominato “Liberi di scegliere”, siglato il 31 luglio 2020, ai sensi della risoluzione del CSM del 31 ottobre 2017 relativa alla tutela dei minorenni nell’ambito del contrasto alla criminalità organizzata.
Gli arresti
Il 10 giugno del 2019 viene arrestato Tullio Caia:
Il 15 maggio del 2019 viene arrestato Damiano Mollica:
Il 24 giugno del 2019 ben tre arresti:
Il 6 giugno del 2019 viene arrestato Giovanni Cacciatore:
Il 3 luglio del 2019 viene arrestato anche Alessio Cappuccio: