PALERMO – I carabinieri del R.O.S., coadiuvati dal comando provinciale di Palermo e Trapani, hanno sequestrato nei confronti del capo di cosa nostra, Salvatore Riina, e del suo nucleo familiare un valore complessivo di circa 1,5 milioni di euro di beni.
Le indagini patrimoniali condotte dal ROS hanno costituito il completamento di un’attività di contrasto più articolata condotta dai carabinieri nei confronti del potente mandamento mafioso di Corleone, uscito depotenziato negli ultimi 5 anni dagli esiti delle indagini Patria, All Stars e Grande Passo, ed ha consentito di individuare e colpire il patrimonio occulto riconducibile a Salvatore Riina, alla moglie Ninetta Bagarella e ai figli, Giuseppe Salvatore, Maria Concetta e Lucia.
I beni sequestrati sono stati localizzati prevalentemente nelle province di Palermo e Trapani, e sono costituiti da 3 società, una villa, 38 rapporti bancari e, soprattutto, numerosi terreni di cui si è accertata l’attuale disponibilità al capo mafia corleonese. Il punto cruciale dell’indagine patrimoniale è rappresentato dall’evidente disparità tra i redditi dichiarati negli anni da Riina e dai suoi congiunti, da cui è stato possibile ipotizzare l’utilizzo di mezzi e di risorse finanziarie illecite.
In questo quadro, è emersa la significativa e continuativa disponibilità di denaro contante della famiglia, e in particolar modo della moglie che, malgrado i molteplici sequestri di beni mobili subiti nel tempo a fronte dell’assenza di redditi ufficiali, è riuscita a emettere tra il 2007 e il 2013 degli assegni per un valore di oltre 42.000 mila euro a favore dei congiunti detenuti.
Il sequestro comprende, inoltre, la villa di 5 vani a Mazara del Vallo, in via degli Sportivi 42, in cui, in passato, Salvatore Riina avrebbe trascorso la latitanza con il proprio nucleo familiare in estate. Le indagini hanno ricondotto l’effettiva proprietà dell’immobile, intestata proprio al capo mafia corleonese, che dopo la sua cattura avvenuta nel gennaio del 1993, la cedé al fratello Gaetano che la occupò ininterrottamente attraverso un fittizio contratto di locazione.
Già 9 anni prima, nel gennaio del 1984, Gaetano Riina aveva subito la confisca dell’abitazione a lui intestata, in contrada Banno Miragliano a Mazara del Vallo, sentenza emessa dal giudice Alberto Giacomelli che proprio per questo motivo subì la vendetta dei corleonesi che lo uccisero il 14 settembre 1988 e per il quale Salvatore Riina è stato condannato all’ergastolo.
Le intercettazioni hanno rivelato come l’abitazione in questione fosse stata oggetto di disputa tra Gaetano Riina e la cognata, Ninetta Bagarella, che ne rivendicava la proprietà per sé e i suoi figli. Il provvedimento odierno si estenderà alle province di Lecce e Brindisi, dove sono stati localizzati i beni aziendali formalmente intestati a Antonino Ciavarello, genero di Salvatore Riina: la Rigenertek, l’AC Service e la Clawstek erano tutte operanti nella vendita al dettaglio di autovetture e, stando agli esiti delle indagini patrimoniali, erano costituite con proventi di presunta derivazione illecita.
Infatti, l’esame incrociato della contabilità di queste aziende ha evidenziato una disuguaglianza di ben 480mila euro, immessi per lo più in contanti e in numerose tranchesnei patrimoni sociali senza alcuna giustificazione legale.
Il Tribunale di Palermo, contestualmente al sequestro, ha sottoposto ad amministrazione giudiziaria l’azienda agricola dell’ente Santuario Maria Santissima del Rosario di Corleone. In particolare è stata accertata l’ingerenza di Salvatore Riina e della sua famiglia nel controllo e nella gestione di un vasto appezzamento di terreno del santuario, esercitati inizialmente attraverso Vincenzo Di Marco, storico giardiniere e autista del nucleo familiare, e dal 2001 per il tramite del figlio Francesco. Le indagini del ROS hanno smascherato l’irregolare gestione dell’azienda agricola, di fatto amministrata per conto della famiglia Riina alla quale spettava ogni decisione sia sull’utilizzo dei terreni che sulla distribuzione delle rendite, esautorando il legale rappresentante dell’azienda.
Per tali motivi è stata disposta l’amministrazione giudiziaria per sei mesi allo scopo di consentire la rimozione degli ostacoli al libero esercizio delle attività aziendali depurandole dalle infiltrazioni mafiose. Decisivi gli esiti delle indagini dei carabinieri di Corleone che, nel 2012, hanno documentato l’esistenza di una controversia per la gestione di tali terreni tra il figlio del capo mandamento, Leonardo Lo Bue e Francesco Di Marco, quest’ultimo costretto a rivolgersi prima a Salvatore Riina e successivamente alla madre Antonina Bagarella.
La questione, dopo un lungo e aspro confronto, era stata risolta a favore di Di Marco, rimanendo indifferente dall’iniziale decisione di Salvatore Riina che il capo mandamento pro-tempore Rosario Lo Bue non si era permesso di modificare. Il dato rappresenta un ulteriore elemento sintomatico di come l’anziano e malato capo di cosa nostra, nonostante la lunga detenzione, sia riuscito nel tempo ad imporre il proprio volere riguardo dinamiche criminali non solo interne al mandamento di Corleone, ma anche nei più generali assetti di cosa nostra, come hanno dimostrato, nel 2008, gli esiti dell’operazione denominata “Perseo” dei carabinieri.
I particolari dell’operazione verranno resi noti in una conferenza stampa prevista per le ore 10 al comando provinciale dei carabinieri di Palermo.