Giovanni Brusca, in un video di 5 anni fa le scuse alle vittime di mafia: “È il momento di metterci la faccia”

Giovanni Brusca, in un video di 5 anni fa le scuse alle vittime di mafia: “È il momento di metterci la faccia”

PALERMO –Ho riflettuto e ho deciso di rilasciare questa intervista: non so dove mi porta, cosa succederà, spero solo di essere capito. Ho deciso (di farlo) per fare i conti con me stesso, perché è arrivato il momento di metterci la faccia, anche se non posso per motivi di sicurezza, ma è nello spirito e nell’anima (che è nata l’intenzione) di farlo“.

A dirlo è Giovanni Brusca, il mafioso stragista pentito in un’intervista a Zek e Arte France rilasciata 5 anni fa e pubblicata in un video inedito da Corriere della Sera e La Stampa. Brusca, inquadrato con volto e mani coperte, è stato rilasciato pochi giorni fa dal carcere di Rebibbia a Roma dopo aver scontato una pena di 25 anni.

L’uomo, prima di diventare collaboratore di giustizia, ammise il suo ruolo nella strage di Capaci e nell’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo. In particolare, lo “scannacristiani” si è accusato di aver premuto il pulsante del telecomando che causò la detonazione del tritolo al passaggio delle auto con a bordo il magistrato Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, anch’essa magistrato, e gli uomini della scorta.

Ho cercato (in questi anni da collaboratore di giustizia) – dice Brusca nell’intervista – di dare il mio contributo, il più possibile, e dare un minimo di spiegazione ai tanti che cercano verità e giustizia“.

E chiedo scusa principalmente a mio figlio e a mia moglie, che per causa mia hanno sofferto e stanno pagando anche indirettamente quelle che sono state le mie scelte di vita: prima da mafioso, poi da collaboratore di giustizia, perché purtroppo nel nostro Paese chi collabora con la giustizia viene sempre denigrato, viene sempre disprezzato, quando invece credo che sia una scelta di vita importantissima, morale, giudiziaria ma soprattutto umana“.

Perché consente di mettere fine a questo, Cosa nostra, che io chiamo una catena di morte, una fabbrica di morte, né più né meno. Un’agonia continua“, sottolinea.

Fonte foto: Ansa.it