PALERMO – L’ex boss mafioso Giovanni Brusca, “fedelissimo” al capo dei capi di Cosa nostra Totò Riina, ha lasciato oggi il carcere dopo 25 anni per fine pena.
L’allontanamento dalla struttura penitenziaria di Rebibbia a Roma è avvenuto con 45 giorni di anticipo rispetto alla scadenza della condanna. Brusca, prima di diventare un collaboratore di giustizia, ammise il suo ruolo nella strage di Capaci e nell’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo.
Adesso verrà sottoposto a controlli e protezione e a quattro anni di libertà vigilata, così come deciso dalla Corte d’Appello di Milano.
“Umanamente è una notizia che mi addolora, ma questa è la legge, una legge che peraltro ha voluto mio fratello e quindi va rispettata“, ha dichiarato Maria Falcone, sorella del giudice Giovanni Falcone.
“Mi auguro solo che magistratura e le forze dell’ordine vigilino con estrema attenzione in modo da scongiurare il pericolo che torni a delinquere, visto che stiamo parlando di un soggetto che ha avuto un percorso di collaborazione con la giustizia assai tortuoso. Ogni altro commento mi pare del tutto inopportuno“, ha aggiunto.
“Sono indignata, sono veramente indignata. Lo Stato ci rema contro. Noi dopo 29 anni non conosciamo ancora la verità sulle stragi e Giovanni Brusca, l’uomo che ha distrutto la mia famiglia, è libero“, ha commentato ad AdnKronos Tina Montinaro, vedova di Antonio Montinaro, il caposcorta di Giovanni Falcone.
“Sa qual è la verità? Che questo Stato ci rema contro. Io adesso cosa racconterò al mio nipotino? Che l’uomo che ha ucciso il nonno gira liberamente?“, dichiara.
Un ritorno alla libertà, quello di Brusca, che coincide in termini temporali con la scarcerazione di 15 tra boss, gregari ed estortori del mandamento mafioso di Brancaccio (Palermo).
La Corte d’Appello del capoluogo siciliano ha dichiarato la nullità del decreto che aveva disposto il giudizio, decisione che ha comportato, di conseguenza, l’annullamento del dibattimento che in primo grado aveva visto condanne molto pesanti per gli imputati.
Le persone scarcerate vedranno limitate le misure restrittive al solo obbligo di firma. Il procedimento è nato da un’inchiesta del 2017 della Direzione distrettuale antimafia di Palermo che aveva smantellato il mandamento di Brancaccio.
Dopo il primo processo, l’appello ha ordinato la sua nullità. Tra gli imputati tornati in libertà compaiono Giovanni Lucchese e Giuseppe Caserta, precedentemente condannati in primo grado a 17 e 18 anni di carcere.
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