Estorsioni e grande rispetto delle regole le fondamenta del “successo” dei boss di Villagrazia

Estorsioni e grande rispetto delle regole le fondamenta del “successo” dei boss di Villagrazia

PALERMO – Il duro colpo inferto alla mafia di Palermo con l’arresto di 62 persone, ha messo in luce l’organigramma di alcune famiglie, tra le quali quelle di Villagrazia-Santa Maria di Gesù.

Tutto ha origine dall’indagine “Brasca”, che prende nome dall’area rurale alle pendici del monte Grifone e che ha messo sotto la lente di ingrandimento la famiglia di Villagrazia, per poi estendersi a quella di Santa Maria di Gesù.

Grazie a questa operazione, avviata nel novembre del 2012, è stato possibile ricostruire l’organizzazione dei boss di Villagrazia, con a capo Mario Marchese “Mariano” e gli altri appartenenti alla famiglia, tra i quali i due fedelissimi Antonino Pipitone e Vincenzo Adelfio. Inoltre, le indagini hanno messo in luce le ferree regole da rispettare, così come era stato dichiarato dai collaboratori di giustizia Tommaso Buscetta e Salvatore Contorno: divieto di rivelare la propria appartenenza, dovere di sostegno verso i detenuti e la sua famiglia, divieto di ricorrere all’aiuto della giustizia statale, obbligo di difendere i ricercati, mancanza di parentela con poliziotti o uomini di giustizia e sostenere le spese funebri dei membri della famiglia. 

Infine, l’operazione ha consentito di ricostruire alcuni legami di Marchese con le famiglie di Corleone, Pagliarelli, San Giuseppe Jato e Belmonte Mazzagno. Gregorio Agrigento (San Giuseppe Jato), per esempio, aveva legato molto con la famiglia di Villagrazia. Così come l’imprenditore Giovanni Inchiappa, punto di riferimento dell’esponente del clan di Altofonte, ha provato ad avvicinarsi a Marchese dopo l’arresto del suo reggente Giuseppe Marfia. A rappresentare la famiglia di Monreale, invece, c’erano Carmelo La Ciuria e Domenico Billeci.

Unitamente al clan di Villagrazia, è stata ricostruita anche l’organizzazione del clan di Santa Maria di Gesù, il cui esponente era Giuseppe Greco, coadiuvato da Mario Taormina. All’interno della famiglia, poi, si era costituita una fazione capeggiata da Santi Pullarà, figlio di Ignazio, da Gaetano e Francesco Di Marco e da Alfredo Giordano, il più insospettabile visto che gestiva il Teatro Massimo di Palermo. I 4 capi si riunivano spesso in una marmeria già nota negli anni ’90 come luogo di incontro degli appartenenti al sodalizio mafioso.

Altro elemento importante emerso dalle analisi sulla famiglia di Santa Maria di Gesù, sono elementi riguardanti l’omicidio di Giuseppe Calascibetta il 19 settembre del 2011. “Faccia di umma” era il reggente del clan e avrebbe tenuto per sé circa 30 mila euro. Questo, insieme ad altre ragioni, sarebbe stato il movente della sua uccisione.

La sinergia Villgrazia-Santa Maria di Gesù era finalizzata alle estorsioni. Parte dei proventi veniva utilizzata per sostenere i detenuti.