ITALIA – Un mondo all’insegna della violenza, delle sparatorie, della tragedia. È questo ciò che vogliamo veramente? È questo ciò che i nostri genitori, i nostri parenti hanno seminato per noi? Viviamo – ahimè – in una società in cui possedere un’arma e puntarla contro un coetaneo è diventato all’ordine del giorno.
Ma “chi semina vento raccoglie tempesta”, ci insegnano gli anziani: fuor di metafora, è l’ambiente familiare a giocare il ruolo più importante, a trasmettere il messaggio della “diritta via” al proprio figlio, senza ricorrere alla malsana indifferenza. Giovani che si sentono soli, impotenti al cospetto di un mondo così enormemente spaventoso, incoscienti – al contempo – della fatalità di un’arma.
Non si tratta solo di pistole: l’aggressività repressa esplode, tutta in una volta, in violenza, la maggior parte delle volte per futili motivi. Un futile motivo quale la gelosia per un mero like su Instagram, per una “richiesta” accettata e non ricambiata, per un “repost” su TikTok di troppo. Ed è qui che volevo arrivare.
Violenza e social: parla la psicoterapeuta Valentina Gentile
Chiaramente, non voglio fare di tutta l’erba un fascio, ma è evidente come certi ragazzini, certi adolescenti, chiedano aiuto attraverso urla di silenzi.
Ebbene, un problema così sottile ci ha spinti a ricorrere all’aiuto dell’esperta, la dottoressa Valentina Gentile – psicologa e psicoterapeuta – per analizzarlo e capire cosa succede nelle menti dei nostri ragazzi.
Adolescenza e aggressività: energia evolutiva o pericolo?
Ma partiamo dalle basi, per comprendere la complessità dell’adolescenza, l’età di transizione in cui la continuità dell’essere viene messa alla prova. È in questo contesto di turbolenza che l’aggressività gioca un ruolo decisivo.
Come ha spiegato la dottoressa Gentile:
“L’aggressività è una componente naturale della vita psichica, non è, di per sé, distruttiva, anzi, può essere profondamente funzionale allo sviluppo: è l’energia che sostiene il processo di differenziazione, l’impulso a definire il proprio spazio personale, a rivendicare la propria autonomia, a confrontarsi con i limiti esterni senza annullarsi.
È l’aggressività che permette all’adolescente di dire ‘io sono’, anche a costo di mettere in discussione ciò che era stato fino a quel momento.”
E ancora, la dottoressa sottolinea che:
“Se contenuta, riconosciuta e rispecchiata da un ambiente capace di accogliere l’intensità emotiva senza temerla né reprimerla, l’aggressività diventa strumento di costruzione identitaria. Come ci insegna Winnicott, il bambino — e poi l’adolescente — ha bisogno di vivere la propria aggressività dentro una relazione che non risponde con il contro-attacco o il ritiro, ma che la tiene e la trasforma in esperienza pensabile.”
Dall’aggressività alla violenza: il segno del fallimento dell’ambiente
Ma cosa accade quando questo ambiente non funziona? Spiega ancora la psicologa:
“Quando invece il contenimento manca, quando l’ambiente è carente, intrusivo o violento, l’aggressività può smarrirsi e trasformarsi in violenza. La violenza, a differenza dell’aggressività funzionale, è disfunzionale: rompe i legami anziché costruirli, distrugge anziché differenziare, agisce il dolore anziché rappresentarlo.
La violenza è l’esplosione di un’angoscia non mentalizzata, è il fallimento della possibilità di dare parola all’emozione.”
E aggiunge l’esperta:
“Contesti familiari segnati da trascuratezza, abuso o normalizzazione della violenza costituiscono fattori di rischio molto elevato: l’adolescente, in assenza di modelli alternativi, può replicare le modalità relazionali apprese, perpetuando il circuito della distruttività.”
Il gruppo dei pari: rifugio o trappola?
Un ruolo importante è anche quello dei coetanei. Come chiarisce la dottoressa Gentile:
“Anche il gruppo dei pari gioca un ruolo fondamentale: in adolescenza il bisogno di appartenenza è potentissimo. Se il gruppo valorizza la violenza come strumento di affermazione, di riconoscimento, di identità, il giovane può aderire a questi modelli pur di non sentirsi escluso.
La pressione del gruppo può legittimare e amplificare agiti violenti, soprattutto se si salda a una fragilità interna non ancora elaborata.”
La povertà sociale e la violenza come linguaggio
Non possiamo ignorare il peso delle condizioni sociali. In contesti di marginalità, esclusione o poevertà dove mancano opportunità educative e spazi di crescita:
“la violenza può diventare un linguaggio alternativo per affermare la propria esistenza, per marcare un territorio, per tentare di conquistare un senso di sé che altrove non viene riconosciuto.
Dietro ai comportamenti violenti, spesso, si celano sofferenze profonde: ansia, frustrazione, bassa autostima, vissuti di esclusione, dolore relazionale. La violenza, in questi casi, è un modo — disfunzionale ma potente — per gestire emozioni che il soggetto non riesce a pensare, a contenere, a comunicare.”
Come ha ben spiegato l’esperta, la violenza adolescenziale non può essere ridotta a una questione di devianza o patologia individuale. Si tratta del prodotto di un intreccio complesso tra diversi fattori, quali psicologici, familiari, relazionali e sociali.
“Per questo è essenziale un intervento integrato, che coinvolga non solo il singolo adolescente, ma anche la famiglia, la scuola, il gruppo dei pari e la comunità più ampia. Solo offrendo ai ragazzi spazi sicuri, relazioni contenitive, modelli positivi di espressione emotiva e possibilità di pensare e trasformare la propria aggressività, sarà possibile aiutarli a canalizzare l’energia vitale della crescita in percorsi evolutivi e non distruttivi.
Non si tratta di spegnere l’aggressività: si tratta di accompagnarla, di darle parola, di trasformarla in gesto creativo.
Perché ogni adolescente, se incontrato nel suo dolore e nella sua forza, può diventare costruttore del proprio futuro e non prigioniero della propria ferita.”
Il like come misura dell’autostima
Per quanto concerne il tema “social”, oggi il cosiddetto “like” sembra esser diventato un simbolo potente tra i ragazzi: come ha spiegato la psicologa:
“ una nuova unità di misura dell’autostima, un simbolo di accettazione, visibilità e appartenenza.
Per un adolescente in cerca di identità e conferme esterne, quel gesto apparentemente banale assume un peso emotivo enorme.
La mancanza di like o l’indifferenza digitale può essere vissuta come un’esclusione sociale, un’umiliazione o addirittura un rifiuto del sé.”
E ancora:
“In un’età in cui si è particolarmente vulnerabili allo sguardo dell’altro, il like diventa un segnale cruciale di ‘valore personale’.
È una forma di gratificazione immediata che attiva i sistemi di ricompensa del cervello. Questo lo rende una fonte potenziale di dipendenza emotiva e conferma quanto i social incidano sulla costruzione dell’identità.”
Cosa possono fare i genitori per sostenere un adolescente che manifesta violenza?
“Innanzitutto è fondamentale ascoltare senza giudicare. I ragazzi hanno bisogno di sentire che il loro mondo interiore — anche quando caotico o doloroso — è accolto e compreso.
I genitori possono fungere da ‘specchio emotivo’, aiutando i figli a nominare ciò che provano, senza banalizzare né drammatizzare. È importante dare regole, ma anche offrire spazi di dialogo. Educare non significa reprimere, ma accompagnare nella crescita.”
E ancora, consiglia l’esperta:
“Quando il disagio è profondo, è importante non esitare a chiedere aiuto: uno psicoterapeuta può offrire strumenti per comprendere e trasformare la sofferenza. Il messaggio più potente che un genitore può trasmettere è: ‘ci sono, anche quando non capisco tutto, ci sono’.”
Il compito della scuola
E, invece, le istituzioni scolastiche hanno un ruolo per prevenire o intercettare certe forme di disagio o violenza? Ebbene, la dottoressa ha spiegato:
“La scuola può essere un presidio fondamentale di prevenzione, se riesce a farsi luogo di ascolto, di relazione autentica e non solo di trasmissione di contenuti. Insegnanti formati al riconoscimento del disagio emotivo, sportelli di ascolto, attività di educazione affettiva e relazionale sono strumenti preziosi.”
Conclude la psicoterapeuta:
“L’alleanza tra scuola, famiglia e servizi territoriali è la chiave per costruire una rete solida attorno ai ragazzi.
Nessun adolescente deve sentirsi invisibile. Perché la violenza nasce — troppo spesso — dove manca lo sguardo.”