La tutela del minore attraverso lo schermo

La tutela del minore attraverso lo schermo

I pericoli in cui i minori incappano nella realtà virtuale, in particolar modo sui social media, continuano a essere una notizia allarmante; quello che preoccupa, tuttavia, è come siano gli stessi genitori a mettere a rischio i figli. Nell’adattarsi al web, l’ultima classe di genitori, cresciuta con internet come compagno di giochi, ha chiuso un occhio sui rischi della rete forse perché lontani dall’immaginario comune in cui lo smartphone è un luogo di riposo mentale in cui scorrere notizie e foto e tenersi in contatto con i propri cari. 

Un articolo recente pubblicato sulla rivista The Journal of Pediatrics rileva che un nascituro su quattro è già presente sui social media prima di venire al mondo. L’articolo analizza il pericolo dello sharenting ovvero di quella genitorialità (parenting) che condivide (share) informazioni sensibili dei bambini online corredate di foto e video. I dati, di assoluto rilevo, vedono il 34% dei genitori americani pubblicare online con una certa continuità e naturalezza le ecografie dei propri bambini ancora nel grembo materno. E con uno sguardo veloce alle homepage italiane ci si rende conto che i neonati nostrani non sono da meno. Lo sharenting si intensifica dopo la nascita, addirittura un neonato nel primo anno di vita è presente sul web già con 300 istantanee. I social network preferiti dai genitori sono alcuni dei più frequentati dagli adulti. Facebook in primis con il 54% delle preferenze, seguito da Instagram (16%) e da Twitter (12%).

Spesso si tratta semplicemente di genitori inconsapevoli che vogliono condividere momenti di gioia e divertimento con i bambini all’oscura di come le immagini dei piccoli potrebbero trovarsi alla mercè di orchi nascosti dall’anonimato dello schermo. 

In altri casi, purtroppo, sono gli stessi genitori o guardiani del minore che, improvvisandosi influencer, sfruttano la sua immagine per trarne profitto attraverso visualizzazioni e collaborazioni. Il fenomeno riguarda anche l’uso improprio dei social da parte di genitori che pubblicando foto e video dei figli in situazioni ammiccanti e al limite del consentito. Ad esempio su TikTok vengono postati video di minori alle prese con oggetti di forma fallica e sotto i quali vengono pubblicati migliaia di commenti maliziosi di uomini di mezza età; questi genitori guadagnano così visualizzazioni e anche compensi monetari dal lasciare i bambini in balia di predatori virtuali che salvano migliaia.

In questi giorni proprio con l’intervento di Shou Zi Chew (CEO di TikTok) al Congresso americano, tutti questi temi sono venuti a galla, e in tutto il mondo si preme per una normativa che tuteli il minore in questi spazi virtuali e che educhi il bambino e l’adulto a convivere con un ambiente, quello del web, che fa inevitabilmente parte delle loro vite.

La percezione del pericolo virtuale, con l’avanzata inarrestabile del web, si è quasi nascosta dietro a fenomeni lontani dal suo uso abitudinario e distopici come il dark web ignorando le insidie dei piccoli modi con cui interagiamo con Internet giornalmente

Inoltre, non sono solo i genitori di bambini piccoli a dover stare attenti, ma chi ha figli in età adolescenziale che pur essendo un esperto di questi strumenti, il cosiddetto “nativo digitale”, può diventare vittima o carnefice in un solo click.

Questo è il caso, che ha fatto scalpore nelle ultime settimane, di una scuola media romana in cui due ragazzini di quattordici anni hanno “spogliato” le loro compagnette di classe attraverso l’app BikiniOff e che sono stati accusati di produrre materiale pedopornografico. L’app è un’evoluzione del fenomeno del deep fake cioè la creazione di immagini altamente realistiche ma manipolate come la foto di Papa Francesco in vesti da rapper. BikiniOff attraverso l’intelligenza artificiale da un’immagine reale crea e restituisce immagini pornografiche altamente realistiche. Basta allegare la foto e in circa 30 secondi si otterrà il risultato sperato. La tecnologia basata su AI riconosce i dettagli più importanti come la corporatura, l’incarnato, le proporzioni e la posa e sostituirà i vestiti con un nudo coerente, che riprende le caratteristiche della persona vittima della modifica. 

Molte sono le riflessioni che il caso di Roma e altri fenomeni sopraccitati fanno scaturire, prima tra tutte come possa essere tutelato il minore se sono sempre più diffuse situazioni in cui il consenso al trattamento dei dati è secondario se non addirittura ignorato.

Prima del regolamento europeo i principali social network prevedevano una età minima per iscriversi fissata a 13 anni poiché applicavano il limite fissato dalla legge federale degli Stati Uniti: il Children’s Online Privacy Protection Act (COPPA). Tale legge prescrive che nessuna persona giuridica (tranne gli enti pubblici) può raccogliere dati relativi a minori di 13 anni. 

La normativa europea precedente, invece, non prevedeva un vero e proprio limite che, però, si poteva ricavare ricavabile dal quadro normativo generale. In Italia, ad esempio, la capacità di agire, si acquista con la maggiore età a 18 anni secondo il secondo articolo del Codice Civile; mentre il minore con età compresa tra 14 e 18 ha una capacità giuridica attenuata e il minore dei 14 anni non è imputabile e non ha capacità giuridica.

Il Codice Privacy (Lgs. n. 196/2003) ha previsto che l’età per esprimere il consenso al trattamento dei dati personali del minore sia fissata in 14 anni; sotto tale soglia il trattamento dei dati personali del minore è lecito solo se il consenso sia stato prestato da chi esercita la responsabilità genitoriale.

Da questi elementi è evidente la necessità di una nuova normativa che tenga conto delle criticità del rapporto con i social media e le nuove tecnologie e che punti a conviverci in sicurezza non a vietarne l’uso. In particolare, ci si dovrebbe impegnare su scala più ampia a perseguire usi criminali di questi strumenti in cui è sempre più difficile ricostruire una entità fisica responsabile, come nel caso dell’intelligenza artificiale.

AVV. ELENA CASSELLA