Covid, come medici di base e pediatri devono gestire il decorso della malattia: le REGOLE del Ministero della Salute

Covid, come medici di base e pediatri devono gestire il decorso della malattia: le REGOLE del Ministero della Salute

ITALIA – L’emergenza Coronavirus in Italia è ancora attuale ed è bene essere informati su tutto quello che c’è da sapere sul trattamento della pandemia nel caso in cui dovessero comparire alcuni sintomi in ambito domiciliare.

Cosa fare? Qual è la procedura da seguire per i medici di base e quando, invece, è il caso di intervenire diversamente? Le risposte alle domande provengono direttamente da un documento ufficiale stilato dal Ministero della Salute denominato “Gestione domiciliare dei pazienti con infezione da SARS-CoV-2“.

Le tre fasi del decorso clinico

Il decorso clinico dell’infezione può essere riassumibile in tre fasi:

  • una fase iniziale durante la quale SARS-CoV-2, dopo essersi legato ad ACE2 ed essere penetrato all’interno delle cellule dell’ospite, inizia la replicazione. Questa fase di solito si caratterizza clinicamente per la presenza di malessere generale, febbre e tosse secca. I casi in cui il sistema immunitario dell’ospite riesce a bloccare l’infezione in questo stadio (la maggior parte) hanno un decorso assolutamente benigno;

 

  • la malattia può poi evolvere verso una seconda fase, caratterizzata da alterazioni morfofunzionali a livello polmonare causate sia dagli effetti citopatici del virus sia dalla risposta immunitaria dell’ospite. Tale fase si caratterizza per un quadro di polmonite interstiziale, molto spesso bilaterale, associata ad una sintomatologia respiratoria che nella fase precoce è generalmente limitata, ma che può, successivamente, sfociare verso una progressiva instabilità clinica con insufficienza respiratoria. Il fenomeno della cosiddetta “ipossiemia silente”, caratterizzato da bassi valori di ossigenazione ematica in assenza di sensazione di dispnea soggettiva, è caratteristico di questa fase di malattia;

 

  • questo scenario, in un numero limitato di persone, può evolvere verso un quadro clinico ingravescente dominato dalla tempesta citochinica e dal conseguente stato iperinfiammatorio, che determina conseguenze locali e sistemiche e rappresenta un fattore prognostico negativo producendo, a livello polmonare, quadri di vasculopatia arteriosa e venosa con trombizzazione dei piccoli vasi ed evoluzione verso lesioni polmonari gravi e, talvolta, permanenti (fibrosi polmonare). Le fasi finali di questo gravissimo quadro clinico portano ad una ARDS (Acute Respiratory Distress Syndrome) grave e in alcuni casi all’innesco di fenomeni di coagulazione intravascolare disseminata. In questa fase, si è osservata un’alterazione progressiva di alcuni parametri infiammatori quali PCR, ferritina, e citochine pro-infiammatorie (IL2, IL6, IL7, IL10, GSCF, IP10, MCP1, MIP1A e TNFα) e coagulativi quali aumentati livelli dei prodotti di degradazione della fibrina come il D-dimero, consumo di fattori della coagulazione, trombocitopenia.

Sulla base di queste tre fasi patogenetiche, i National Institutes of Health (NIH) statunitensi hanno formulato una classificazione, fondata anche su criteri radiologici con i limiti e le difficoltà legate alla realizzazione di queste indagini in una situazione pandemica, in cui si individuano 5 stadi clinici della malattia Covid-19: infezione asintomatica o presintomatica, malattia lieve, moderata, severa e critica.

Correlazione con età e patologie

I dati di letteratura attualmente disponibili hanno evidenziato un’associazione significativa tra l’incidenza di forme clinicamente severe d’infezione da SARS-Cov2 e l’età avanzata (soprattutto oltre i 70 anni d’età), il numero e la tipologia di patologie associate, il sesso maschile e la latenza tra l’inizio dei sintomi e la prima valutazione medica.

I pazienti affetti da patologie quali ipertensione arteriosa, fibrillazione atriale, insufficienza cardiaca, diabete mellito, insufficienza renale e malattia coronarica sono più a rischio di sviluppare manifestazioni severe dell’infezione da SARS-CoV-2. Questi pazienti, così come quelli affetti da patologie respiratorie croniche e da insufficienza renale cronica preesistente, hanno, inoltre, una prognosi più sfavorevole.

Scenari di gestione domiciliare

I Medici di Medicina Generale (MMG) e i Pediatri di Libera Scelta (PLS), grazie alla presenza capillare nel territorio e alla conoscenza diretta della propria popolazione di assistiti, sia in termini sanitari che in termini sociali, devono giocare, in stretta collaborazione con il personale delle USCA (Unità Speciali di Continuità Assistenziale) e con eventuali unità di assistenza presenti sul territorio, un ruolo cruciale nell’ambito della gestione assistenziale dei malati Covid-19 rispetto ai seguenti aspetti:

  • identificazione dei soggetti a rischio di contagio da SARS-CoV-2;
  • segnalazione ai dipartimenti di prevenzione delle aziende sanitarie locali (ASL) / aziende territoriali sanitarie (ATS), dei casi sospetti nei quali è richiesta l’esecuzione di test 4 diagnostico;
  • identificazione delle condizioni abitative e familiari che possono rendere non applicabile l’isolamento domiciliare;
  • monitoraggio e gestione domiciliare dei pazienti che non richiedono ospedalizzazione; • istruzione dei pazienti sull’utilizzo di presidi di monitoraggio a domicilio;
  • prescrizione di norme di comportamento e terapie di supporto;
  • istituzione di un’alleanza terapeutica con il paziente e con il caregiver;
  • identificazione precoce di parametri e/o condizioni cliniche a rischio di evoluzione della malattia con conseguente necessità di ospedalizzazione;
  • realizzazione di test diagnostici rapidi per screening di contatto stretto di caso o per riammissione in comunità di contatto stretto di caso e asintomatico secondo le indicazioni della circolare n. 35324 del 30 ottobre 2020 “Test di laboratorio per SARS-CoV-2 e loro uso in sanità pubblica”;
  • identificazione degli assistiti >70 anni e portatori di 3 o più patologie a rischio;
  • identificazione degli assistiti portatori di patologia a rischio (ad esempio neoplasia, obesità morbigena, condizioni psichiatriche gravi).

Lo strumento del pulsossimetro

Le caratteristiche minime richieste per un pulsossimetro da utilizzare in modo affidabile in ambiente extra-ospedaliero sono le seguenti:

  • tipologia di dispositivo portatile, con peso e dimensioni contenute;
  • adeguato grado di protezione da urti ed infiltrazione di fluidi (classe IPX);
  • rilevazione e monitoraggio di frequenza cardiaca saturazione (SpO2);
  • idoneo per uso adulto e pediatrico;
  • display integrato per la visualizzazione dei parametri rilevati, chiaramente distinguibili;
  • funzionamento a batteria (preferibilmente ricaricabile) con elevata autonomia;
  • auspicabili algoritmi specifici per una accurata rilevazione del segnale anche in condizioni difficili (ad esempio interferenze elettriche, movimento, luce, bassa perfusione);
  • funzionamento senza materiale di consumo (sensori) dedicato;
  • facilmente sanificabile e resistente agli urti;
  • preferibile la predisposizione per interfacciamento con dispositivi esterni per trasferimento dati acquisiti tramite protocollo bluetooth o equivalente (utilizzo in protocolli di teleassistenza sulla base dei modelli organizzativi regionali e aziendali);
  • marcatura CE come Dispositivo Medico ai sensi della normativa vigente, con classe di rischio non inferiore a IIA.

Il monitoraggio delle condizioni cliniche e della saturazione dell’ossigeno andrà proseguito nel soggetto infettato da SARS-CoV-2 per tutta la durata dell’isolamento domiciliare, in rapporto alle condizioni cliniche e all’organizzazione territoriale. Il paziente dovrà essere istruito sulla necessità di comunicare una variazione dei parametri rispetto al baseline e, in particolare, dovrà comunicare valori di saturazione di ossigeno inferiori al 92%.

Qualora venga esclusa la necessità di ospedalizzazione, potrà essere attivata, con tutte le valutazioni prudenziali di fattibilità del caso, la fornitura di ossigenoterapia domiciliare. Nel caso di aggravamento delle condizioni cliniche, durante la fase di monitoraggio domiciliare, andrà eseguita una rapida e puntuale rivalutazione generale per verificare la necessità di una ospedalizzazione o valutazione specialistica, onde evitare il rischio di ospedalizzazioni tardive.

Una rappresentazione schematica del monitoraggio del soggetto infettato da SARS-CoV-2 e della dinamica possibilità di transizione da paziente a basso rischio a paziente con un quadro in evoluzione peggiorativa tale da richiedere o una modifica della terapia o un riferimento a strutture di pronto soccorso è delineato nello schema sotto-riportato.

Quali farmaci usare e quali no?

Nei soggetti a domicilio asintomatici o paucisintomatici, sulla base delle informazioni e dei dati attualmente disponibili, si forniscono le seguenti indicazioni di gestione clinica:

  • vigile attesa;
  • misurazione periodica della saturazione dell’ossigeno tramite pulsossimetria;
  • trattamenti sintomatici (ad esempio paracetamolo);
  • appropriate idratazione e nutrizione;
  • non modificare terapie croniche in atto per altre patologie (es. terapie antiipertensive, ipolipemizzanti, anticoagulanti o antiaggreganti), in quanto si rischierebbe di provocare aggravamenti di condizioni preesistenti;
  • i soggetti in trattamento immunosoppressivo cronico in ragione di un precedente trapianto di organo solido piuttosto che per malattie a patogenesi immunomediata, potranno proseguire il trattamento farmacologico in corso a meno di diversa indicazione da parte dello specialista curante;
  • non utilizzare routinariamente corticosteroidi;
  • l’uso dei corticosteroidi è raccomandato nei soggetti con malattia Covid-19 grave che necessitano di supplementazione di ossigeno. L’impiego di tali farmaci a domicilio può essere considerato solo in quei pazienti il cui quadro clinico non migliora entro le 72 ore, in presenza di un peggioramento dei parametri pulsossimetrici che richieda l’ossigenoterapia;
  • non utilizzare eparina. L’uso di tale farmaco è indicato solo nei soggetti immobilizzati per l’infezione in atto;
  • non utilizzare antibiotici. Il loro eventuale uso è da riservare solo in presenza di sintomatologia febbrile persistente per oltre 72 ore o ogni qualvolta in cui il quadro clinico ponga il fondato sospetto di una sovrapposizione batterica, o, infine, quando l’infezione batterica è dimostrata da un esame microbiologico;
  • non utilizzare idrossiclorochina la cui efficacia non è stata confermata in nessuno degli studi clinici controllati fino ad ora condotti;
  • non somministrare farmaci mediante aerosol se in isolamento con altri conviventi per il rischio di diffusione del virus nell’ambiente.

Non esistono, ad oggi, evidenze solide e incontrovertibili (ovvero derivanti da studi clinici controllati) di efficacia di supplementi vitaminici e integratori alimentari (per esempio vitamine, inclusa vitamina D, lattoferrina, quercitina), il cui utilizzo per questa indicazione non è, quindi, raccomandato.

Immagine di repertorio