La doccia fredda della mafia. Claudio Fava: “Riina jr, un siparietto imbarazzante”

La doccia fredda della mafia. Claudio Fava: “Riina jr, un siparietto imbarazzante”

CATANIA – ll problema non è intervistare il figlio di Riina o Totò Riina in persona o un altro macellaio mafioso. Il problema è come lo intervisti. Le domande che gli fai. Le risposte che pretendi di ottenere”.

Intervista al figlio di Totò Riina il giorno dopo. A parlare adesso è Claudio Fava, figlio di Giuseppe, il giornalista diventato simbolo della lotta alla mafia catanese dopo essere stato ucciso barbaramente trentadue anni fa. 

L’opinione di Claudio è quella di un uomo a cui è stato strappato via il padre. Ma è proprio di intenso rapporto padre-figlio che ieri s’è parlato durante la trasmissione televisiva “Porta a Porta”.

E mentre ancora in molti non si capacitano dell’atteggiamento, né della fierezza con cui il figlio del boss più feroce e temuto di tutti i tempi parlava di “padre premuroso”, Claudio Fava si fa portavoce delle polemiche che sono state mosse alla Rai e al giornalista Bruno Vespa, per aver mandato in onda quel tipo di intervista. 

“Se davanti hai il figlio di Totò Riina, non gli permetti di costruire il siparietto su quant’era bravo e premuroso quel padre, che tanto della mafia se ne occupano i tribunali – spiega Claudio Fava -. Se quell’intervista hai voglia (e le palle) per farla, la fai come si deve: costringendo il cerimonioso rampollo a parlare degli ammazzati collezionati dal padre, dell’odore del napalm che attraversava quegli anni palermitani, dei soldi accumulati dal suo genitore, del potere esercitato, delle obbedienze ricevute. Dei suoi amici, gli chiederei. Dei protettori, dei servi, degli imbelli. Gli chiederei di parlare di Cosa Nostra, altrimenti aria!”.

Perché il punto in realtà è proprio questo: farsi un’opinione che ieri sera, in realtà, non ci siamo fatti. Ma quegli occhi così glaciali hanno parlato più di mille parole. “Quando leggevo il nome di mio padre sui giornali non mi facevo domande” spiega Riina junior, e invece Fava probabilmente qualche interrogativo se l’è posto. 

“Io lo avrei intervistato, il figlio di Riina. Come a Panama ho intervistato il generale Noriega. In Somalia il signore della guerra Aidid. A Bagdad il vice di Saddam, Tarek Aziz quando il suo capo era in guerra col mondo. E in Salvador il colonnello D’Abuysson – racconta Claudio Fava -. A Roberto D’Abuysson chiesi, senza giri di parole, se fosse vero che monsignor Romero l’aveva fatto ammazzare lui. Non mi rispose: si tolse gli occhiali a specchio, li pulì a lungo, li inforcò di nuovo, mi guardò. E non mi rispose. Poi mi disse che l’intervista era finita. Fu la mia migliore intervista”.

Un messaggio chiaro è quello di Fava che dopo aver perso il padre oggi non teme più nulla.

“Se il figlio del capo dei capi di cosa nostra scrive un libro e ha voglia di farsi intervistare deve venire a spiegarci quello che noi vogliamo sapere, non quello che lui vuole dirci – aggiunge Fava -. Al posto della Rai, l’intervista l’avrei fatta ma l’avrei affidata a uno dei suoi giornalisti (qualcuno c’è…) che le domande sa farle senza chiedere permesso, che non si sarebbe accontentato dei teatrini familiari di casa Riina ma avrebbe preteso dal signor figlio di parlare di tutto il resto – conclude Claudio Fava -. Oppure, meglio, l’avrei fatto intervistare da uno delle decine di giovani e bravi cronisti che gli amici di Riina minacciano ogni giorno di morte e di scomunica, che sono costretti a vivere sotto scorta, che fanno questo lavoro per quattro euro ad articolo. E se a quel punto Riina junior s’offendeva, non voleva, si rifiutava: bene. Era quella l’intervista”.