Pesca selvaggia, Greenpeace: “Aiutiamo il mare, ecco quali pesci comprare e quali no”

Pesca selvaggia, Greenpeace: “Aiutiamo il mare, ecco quali pesci comprare e quali no”

CATANIA – Aula piena e pubblico entusiasta per il primo appuntamento della rassegna documentaristica a tema “Ambiente & Uomo”, organizzata dal Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche ed Ambientali, nella Sezione di Biologia Animale “M. La Greca” di via Androne. 

Prima un approfondito incontro sull’importanza della Biodiversità con il dott. Roberto Cazzolla Gatti, professore associato della Facoltà di Biologia della Tomsk State University (TSU), in Russia e ricercatore nel Laboratorio di Diversità Biologica ed Ecologia del Bio-Clim-Land Centre della stessa università, poi un impressionante documentario naturalistico sul fenomeno della sovrapesca.

L’evento, nato dalla collaborazione del dipartimento con diverse associazioni naturalistiche, in prima linea Greenpeace gruppo locale di Catania, ha fine divulgativo, vuole informare e sensibilizzare sull’ambiente, spesso fin troppo sfruttato dall’uomo che rischia di distruggerlo giorno dopo giorno.

The end of the line (al capolinea), questo il titolo del cortometraggio di Rupert Murray che ha rapito tutta la sala.

Il capolinea di cosa? Vi chiederete… il capolinea del mare e della vita che lo popola. The end of the line denuncia aspramente, attraverso un viaggio nei mari di tutto il mondo, il sovrasfruttamento delle risorse ittiche. Tutto a causa di un’irrefrenabile pesca selvaggia, con attrezzi poco selettivi e addirittura proibiti, cominciata in forma massiccia negli anni ’50, in seguito alla conversione delle navi da guerra in grandi pescherecci.

Ormai i nostri mari sono allo stremo, tanto che gli esperti ne hanno previsto la “fine” per il 2048, data ipotetica che spesso ha attirato lo scetticismo di altri studiosi ma utilissima a comprendere la gravità della situazione. Se questa data non può essere certa però, è certo il fatto che il 90% delle risorse ittiche è in declino e che peschiamo dalle 2 alle 3 volte al di sopra dei limiti che la natura è in grado di sopportare. Molte specie ittiche, un tempo comuni, oggi sono sull’orlo del collasso.

È qui che interviene Greenpeace, che con il suo impegno cerca ogni giorno di cambiare le cose. Agata Di Paola, volontaria del gruppi di Catania, ci ha raccontato la loro battaglia contro la pesca selvaggia: “La nostra attività di sensibilizzazione nasce nel 2008 con un’indagine nei supermercati italiani per verificare quali informazioni fossero disponibili sulle scatolette di tonno. La realtà con la quale ci siamo scontrati presentava una totale mancanza di trasparenza: solo alcuni marchi di tonno indicavano in etichetta il nome comune della specie, mentre raramente vi erano informazioni sull’origine del tonno e nessuna sul metodo di pesca. Dal 2010 ad oggi sono state lanciate quattro edizioni della classifica ‘Rompiscatole’, alcune aziende nel corso del tempo hanno fatto dei passi avanti in termini di trasparenza e scelta di metodi di pesca sostenibili, altre invece sono ancora responsabili della distruzione dei nostri mari. Oggetto delle nostre indagini sono stati anche i mercati rionali, le pescherie e i supermercati. Il Rapporto ‘Muta come un pesce’ ha, anche in tale settore, rilevato una realtà preoccupante: quasi l’80% delle etichette esaminate non rispetta appieno il regolamento europeo in vigore ormai da oltre due anni. Le maggiori irregolarità sono state riscontrate nei mercati rionali e nelle pescherie, nei supermercati, invece, la situazione, per quanto migliore, è ancora lontana dall’essere perfetta. Greenpeace chiede maggiori controlli e più legalità. Da un lato è necessario che le società industrializzate ridefiniscano il loro rapporto con il Mare e dall’altro lato occorre mettere in discussione i nostri modelli di consumo attuali e promuovere la transizione verso una pesca responsabile a basso impatto ambientale”.

Quanto la Sicilia risente di tutto questo?

“La pesca in Sicilia versa in una grave condizione di crisi, dove lo stato di ‘overfishing’ delle risorse si affianca a criticità strutturali (ad esempio per quel che riguarda la commercializzazione dei prodotti) che fanno emergere questioni ‘accessorie’ ma non meno gravi come l’aumento dei costi del carburante. È chiaro che queste cose, a fronte di una scarsità delle risorse, diventano un elemento cruciale d’impatto sulla resa e, quindi, sulla stabilità delle imprese ovvero sulla sostenibilità del mestiere. Per regolamentare la pesca costiera entro le 12 miglia, e sviluppare misure di gestione locale aggiuntive che garantiscano la tutela delle risorse e l’adeguamento della flotta alle risorse disponibili, negli ultimi anni in Sicilia sono stati sviluppati dei Piani di Gestione Locale (PdGL), contemplati nell’ambito della Politica Comune della Pesca (PCP). Si tratta di misure tecniche e finanziarie decise dalla maggioranza del comparto marittimo di un’area per limitare la mortalità da pesca, con un occhio attento alle ricadute economiche che esse hanno sui pescatori. I piani prevedono l’emanazione di ‘regole’ accessorie che devono essere rispettate da tutti i pescatori che operano nell’area. Greenpeace ritiene che in tale contesto, non solo per ragioni ‘ambientali’ ma anche per motivi prettamente socio-economici, dovranno essere utilizzati criteri ambientali e sociali che favoriscano la piccola pesca. È infatti sempre più necessaria una politica incisiva volta al rilancio della pesca artigianale, debole nei tavoli negoziali, ma fondamentale per la memoria dei costumi e delle tradizioni, per il contributo all’alimentazione, per la tenuta occupazionale nel settore (e quindi la sua valenza sociale) e per la gestione sostenibile delle risorse costiere”.

L’importanza di essere consapevoli…

“Quella delle emergenze degli oceani è una delle emergenze più silenziose ad oggi. Siamo un po’ tutti più coscienti che i pesticidi usati in agricoltura hanno un enorme impatto ambientale, sappiamo quasi tutti ormai che dobbiamo trovare una alternativa alle fonti fossili, stiamo già sperimentando i danni causati dalle nostre emissioni di CO2 e di sostanze altamente inquinanti. Probabilmente pochi hanno coscienza di quello che c’è dietro un bancone pieno di pesce o una pietanza prelibata al ristorante sushi. Ma la crisi degli Oceani è grave e le sue conseguenze lo potrebbero essere ancora di più se non ci sbrighiamo a provvedere”.

Un primo passo è già stato fatto: sotto le pressioni di Greenpeace e grazie all’accordo di 24 paesi con l’Ue, nel 2016 è stato istituito il santuario marino più grande al mondo al largo delle coste dell’Antartide. La strada da seguire è proprio questa, l’istituzione di un numero di riserve marine sempre maggiore per garantire la sopravvivenza e il recupero degli stock ittici.

Allora chiediamoci ogni giorno cosa possiamo fare noi, nel nostro piccolo, per cambiare. Quando andiamo al supermercato o al ristorante stiamo attenti, leggiamo bene cosa stiamo consumando. Prendiamo coscienza di ciò che portiamo in tavola.

Ecco alcuni consigli di Greenpeace per aiutare il mare:

– Scegliere sempre la qualità e non la quantità, dai un valore a ciò che mangi;

Leggi l’etichetta, informati sui pesci che consumi;

– Scegli solo pesce fresco, pescato localmente e a basso impatto ambientale, sostieni i piccoli artigiani della pesca;

– Non acquistare specie in declino o prodotti derivanti da attività non sostenibili;

– Compra solo pesci adulti e di stagione.

Quali sono i pesci da evitare assolutamente? 

Tonno pinna gialla, Tonno rosso, Pesce Spada, Gamberoni tropicali, Merluzzo…

…E quelli consigliati? 

Cefalo, Mormora, Palamita, Ombrina, Sarago maggiore, Scorfano, Seppia, Sgombro e Sugarello.

Diamo un futuro alla pesca e al mare.