CATANIA – Per il 39 % degli studenti siciliani la “Mafia è più forte dello Stato” e alla domanda “Ti è mai capitato di avvertire concretamente la presenza della mafia nella tua città?“, il 34% risponde “abbastanza”, il 25% “poco”, il 21% “molto”.
Un dato preoccupante che palesa una sconfitta generazionale senza precedenti.
Non la loro, ma la nostra. Genitori, insegnanti, media che non sono riusciti a trasmettere dei valori imprescindibili di legalità e antimafia.
Ma cos’è successo? Perché una generazione che ha vissuto l’infanzia e l’adolescenza negli anni più bui della Sicilia, gli anni del maxi processo e delle stragi, non è riuscita ad educare le generazioni più giovani all’antimafia?
Questi sono i dati emersi da un’indagine svolta tra gli studenti siciliani coinvolti nel progetto “Giovani cittadini consapevoli, attivi e responsabili” realizzato dal centro studi Pio La Torre con il sostegno del dipartimento della Gioventù e del servizio civile nazionale della presidenza del Consiglio dei ministri, ed ha coinvolto circa 400 studenti tra i 16 e i 21 anni di 14 scuole dell’Isola.
Ne abbiamo parlato con il sociologo ed esperto di cultura Saro Trovato, fondatore di Libreriamo.it, a proposito dell’allarmante indagine sugli studenti siciliani dalla quale emerge che per 4 ragazzi su 10 la Mafia è più forte dello Stato.
“Premetto che questi dati non mi stupiscono. Il problema non sono i giovani ma le famiglie che non educano ad una cultura non mafiosa” attacca Trovato.
“Se davvero vogliamo cambiare le cose bisogna partire proprio dalle famiglie, perché oggi il problema non è più la Mafia in sé, quella delle stragi degli anni ’90, quella che faceva scalpore mediatico, ma è la cultura mafiosa che è più sottile e insidiosa: è quello che ti spinge a prevaricare sull’altro, a trovare la via più facile, anche a limite della legalità, come quando chiami l’ “amico” che lavora in ospedale per avere la visita dallo specialista prima degli altri e superando così le liste d’attesa”.
Sembrano piccole cose ma non lo sono.
“Parliamo di una generazione che è nata con i nuovi media; sono informati, leggono, ma paradossalmente non sono educati alla lettura. Genitori che non leggono, che abituano i ragazzi ad essere “spettatori” televisivi, non possono educare diversamente!“.
E la scuola? “La scuola non può da sola fare tutto. È impossibile solo durante le ore di lezione riuscire a trasmettere valori e principi di legalità quando poi si vive una quotidianità che non li riconosce. Secondo la Scuola di Chicago (scuola dell’ecologia sociale urbana n.d.r.) l’ambiente dove si vive influenza inevitabilmente la formazione dell’individuo e della società. Se i ragazzi vivono in contesti dove vige solo cattiva politica, arrivismo, un passivo modo di accettare il male senza reagire, non potranno che diventare adulti inermi e porteranno avanti questa non cultura che in Sicilia vive da secoli“.
“Per far cambiare realmente qualcosa dobbiamo insegnare ai giovani che è figo abbandonare la cultura mafiosa della prevaricazione. Dobbiamo anche capire che non è un problema legato alla classe sociale“.
La mentalità mafiosa infatti riguarda tutti; con il nostro stile di vita fomentiamo la mafia e la cultura mafiosa: dall’euro al posteggiatore, alla chiamata ad un “amico” per riavere la macchina rubata, alla raccomandazione.
“Se non si fa una rivoluzione delle idee in famiglia, se non si insegna ai ragazzi la legalità, la bellezza della legalità, non potremo insegnare la cultura dell’antimafia“.