CATANIA – Questa mattina i carabinieri del Ros hanno eseguito, nelle province di Roma e Catania, un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal giudice per le indagini preliminari al Tribunale di Roma, su richiesta della locale Procura Distrettuale Antimafia, che ha condotto a 31 arresti (28 in carcere e 3 ai domiciliari) per associazione di tipo mafioso e per i reati, aggravati dal metodo e dalle finalità mafiose, di estorsione, danneggiamento seguito da incendio, detenzione e porto abusivo di armi, traffico di stupefacenti, trasferimento fraudolento di valori e favoreggiamento personale.
I provvedimenti scaturiscono da un’articolata attività investigativa, condotta dal Ros tra il 2014 e il 2017 e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, che ha per la prima volta fatto scoprire l’esistenza di un sodalizio mafioso, il clan Fragalà, composto prevalentemente da membri dell’omonimo nucleo familiare, di origini catanesi, ma da anni trapiantato in provincia di Roma, la cui operatività criminale era estesa al quadrante sud dell’area metropolitana della capitale e in particolare ai comuni di Pomezia, Torvaianica e Ardea.
Le indagini, corroborate anche dai riscontri alle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, hanno consentito di ricostruire l’organigramma del clan, individuando Alessandro Fragalà, 61 anni, il nipote Salvatore Fragalà, 41 anni, e Santo D’Agata, 61 anni, quali soggetti aventi funzioni direttive, in costante contatto con gli ambienti mafiosi catanesi sia per la gestione dei traffici illeciti che per il reclutamento di manodopera criminale per lo svolgimento delle attività delittuose in territorio laziale.
Un ruolo di rilievo era rivestito da Astrid Fragalà, 40 anni, figlia di Alessandro, elemento di cerniera tra il padre e la vita pubblica pometina, con il compito di curare le relazioni e i contatti con esponenti delle professioni, della pubblica amministrazione e della politica locale, anche in ragione del suo percorso professionale e nell’associazionismo di categoria, finalizzati a infiltrare e condizionare la vita politica e la pubblica amministrazione pometina.
Altra figura di centrale importanza investigativa si è rivelata quella di uno storico pregiudicato di origini palermitane legato a Cosa Nostra, già uomo di fiducia a Roma del boss Pippo Calò, ovvero Francesco D’Agati, 83 anni, destinatario del provvedimento cautelare in esame per il reato di concorso esterno nell’associazione mafiosa facente capo al clan Fragalà.
L’83enne, pienamente inserito nelle dinamiche mafiose del territorio romano, dove risiede stabilmente da anni, ma capace di mantenere relazioni di elevato livello anche al di fuori degli
ambienti criminali, è emerso per autorevolezza e prestigio mafioso, intervenendo a tutela e in rappresentanza degli interessi del clan Fragalà nell’ambito delle controversie con altre organizzazioni criminali della capitale, fornendo così un importante contributo alla conservazione e al rafforzamento del clan.
- Relativamente alle attività illecite perpetrate dal sodalizio, sono stati documentati: consistenti traffici di sostanze stupefacenti del tipo cocaina, marijuana e hashish, individuando i canali di approvvigionamento (Colombia e Spagna) e le relazioni funzionali allo sviluppo di tali interessi criminali, intessute con una componente del clan dei Casalesi e persone riconducibili ai clan Santapaola e Cappello di Catania. Nel corso del biennio 2014-2016, le due strutture mafiose giunsero anche a federarsi, elaborando obiettivi comuni e condividendo risorse economiche e armi;
- diversi episodi estorsivi, attuati con metodo mafioso, nei confronti di imprenditori locali anche sotto forma di “recupero crediti” e approvvigionamenti di armi clandestine e di materiali
esplodenti per il compimento di attentati/danneggiamenti a scopo intimidatorio; - dinamiche associative, riguardanti i rapporti tra le diverse organizzazioni mafiose della Capitale, finalizzate a comporre i dissidi secondo un sistema condiviso di valori e principi
mafiosi, in funzione di un comune interesse al mantenimento di rapporti pacifici per esigenze di autoconservazione.
Infine, nel corso delle indagini, oltre all’effettuazione di numerosi riscontri investigativi, è stato sventato, poche ore dopo la sua consumazione avvenuta a Torvaianica il 3 marzo 2016, il sequestro di Ignazio Fragalà, il cui movente era connesso a una controversia sorta in merito al pagamento di una partita di stupefacenti tra il clan Fragalà ed esponenti del clan Cappello di Catania.