L’importanza della Convenzione di Istanbul

L’importanza della Convenzione di Istanbul

PALERMO – Riconoscere o ignorare le forme di violenza per le donne può fare la differenza tra vivere o morire. Il riferimento non è solo alla violenza fisica che lascia a terra in una pozza di sangue, rompe le ossa e spezza le speranze. Le forme di violenza sono tante, spesso silenti, ignorate talvolta dalla stessa persona che le subisce. La violenza è un male che le donne conoscono bene, che mina la loro sicurezza, incrina le basi della democrazia, assoggetta il 50 per cento della popolazione ad un’arrogante e supponente supremazia maschile che millenni di storia hanno consolidato nel comune sentire e che oggi diventa intollerabile asimmetricità.

Di violenza contro le donne si è parlato, da ultimo, a Castelbuono nel corso dell’ultimo incontro di un ciclo di seminari formativi con le scuole che Zonta Club Palermo Zyz, Rotary Baia dei Fenici e centro antiviolenza “Le Onde”, hanno realizzato a partire dal mese di settembre scorso nella provincia di Palermo. Alla popolazione studentesca si è parlato della “Convenzione di Istanbul”, il primo trattato internazionale giuridicamente vincolante per gli Stati, che ha riconosciuto la violenza contro le donne e le violenza domestica come violazione dei diritti umani, male assoluto da contrastare attraverso una strategia che deve operare su quattro linee di intervento: Prevenzione, Protezione e sostegno delle vittime, Perseguimento dei colpevoli, Politiche integrate.

La Convenzione, sottoscritta nel 2011, è stata ratificata dall’Italia nell’agosto 2013 e da allora è divenuta per noi vincolante quanto all’obbligo di adeguare la normativa nazionale – penale e civile – ai dettami del Trattato. Presupposto fondamentale da cui il Consiglio d’Europa è partito nella stesura della Convenzione è la rilevazione di alcuni dati incontestabili che rilevano la gravità del fenomeno e connotano una grave violazione dei diritti umani. La violenza contro le donne rappresenta infatti ancora oggi – e nella civilissima Europa – un forte elemento di allarme sociale con il riscontro statistico che, laddove maggiore è la discriminazione di genere, più alto è il numero di casi di violenza registrati. Un allarme sociale che trova la sua espressione più plateale nel “femminicidio” ma che troppo spesso ignora le mutilazioni fisiche permanenti, le violenze subite dai minori sempre più spesso spettatori muti. Un fenomeno sommerso perché ancora troppi pregiudizi e paure limitano le denunce e perché troppo flebile e incoerente da parte degli Stati la tutela nel confronti di chi si espone.

I dati statistici non lasciano dubbi: il 30 per cento della popolazione femminile ha subito almeno una volta nella vita una forma di violenza sensibile ed il 70 per cento una forma lieve di violenza. Il 67 per cento degli stupri avviene ad opera del partner (attuale o ex), il 45% cento delle violenze denunciate viene effettuata nei confronti di donne con titolo di studio superiore (laurea o diploma) ed economicamente emancipate. E questo perché si abbia la consapevolezza che non siamo davanti ad un fenomeno marginale e trasversale, la cui incidenza è legata a strati e categorie sociali particolarmente disagiate, ma che colpisce ad esserne colpite sono le donne di ogni categorie e provenienza perché il fenomeno, di ordine culturale, basa su comportamenti fortemente radicati nella nostra società.

Un numero sempre maggiore di vittime e testimoni a cui il Consiglio d’Europa ha cercato di porre un freno attraverso la Convenzione nella quale la violenza contro le donne viene definita attraverso la previsione di reati specifici ai quali gli Stati devono porre rimedio modificando la propria normativa, sia penale che civile in relazione agli aspetti inerenti il risarcimento dei danni subiti ed il sostegno nelle azioni di contrasto da parte delle vittime. In particolare, perché se ne abbia contezza, i reati previsti dalla Convenzione sono: la violenza psicologica (articolo 33), gli atti persecutori e lo stalking (art.34), la violenza fisica (art.35), la violenza sessuale compreso lo stupro (Art.36), il matrimonio forzato (art. 37); le mutilazioni genitali femminili (Art.38), l’aborto forzato e la sterilizzazione forzata (Art.39), le molestie sessuali (articolo 40).

La Convenzione prevede, inoltre, un articolo – il 42 – che condanna tutti i crimini commessi in nome del cosiddetto “onore”; a tal fine potrebbe risultare curioso ricordare che in Italia le disposizioni sul “delitto d’onore” sono state abrogate solo nel 1981 con la legge n. 442, e cioè dopo il referendum sul divorzio, la riforma del diritto di famiglia, il referendum sull’aborto.

Maria Giambruno