TRAPANI – “Non morirò di tumore, appena non ce la faccio più mi ucciderò a casa e mi troverai tu. Ti dirò quando arriverà il momento“. Sono le parole di Matteo Messina Denaro alla sorella Rosalia (da tutti chiamata Rosetta), arrestata anch’ella nelle settimane scorse dopo la fine della latitanza del fratello. Un pizzino, uno dei tanti, in cui il boss era ormai consapevole delle sue condizioni di salute, del male incurabile che avanzava – e che continua a farlo tutt’ora, anche tra quattro mura del carcere de L’Aquila – e in cui alla sorella scriveva le sue “volontà”: meglio una morte volontaria che la resa dopo trent’anni di latitanza.
Così preparava lucidamente la sua uscita di scena, simile quasi a quella del padre Francesco – Don Ciccio – morto da latitante, ma non per volontà sua. A stroncare Francesco Messina Denaro fu un infarto, fulminante. Il corpo senza vita lo trovarono le Forze dell’Ordine nella sua casa di campagna: indossava un nuovissimo vestito nero, con tanto di cravatta.
I colleghi de La Repubblica, che nelle scorse ore hanno svelato uno dei tanti pizzini trovati in casa della sorella, presumono che per mettere fine alla propria vita, Matteo, avrebbe potuto usare la pistola ritrovata nel suo covo di Campobello di Mazara. Intanto si continua ancora a scavare tra i segreti del boss; le indagini del procuratore Maurizio De Lucia e dell’aggiunto Paolo Guido continuano: si cercano possibili altri punti d’appoggio utilizzati dall’ex latitante. Come la stessa disponibilità che hanno dato i sei “complici” di Matteo Messina Denaro arrestati nei giorni scorsi. Sono tutti accusati a vario titolo di concorso esterno in associazione mafiosa, associazione mafiosa, favoreggiamento e procurata inosservanza di pena. Tra i finiti in manette Emanuele Bonafede, la moglie Lorena Ninfa Lanceri e il nipote del boss Leonardo Bonafede.