Sguardo magnetico e ipnotico, occhi di un azzurro intenso, labbra sensuali e viso angelico. Non avevo dubbi. Doveva essere il ritratto di un uomo di fama e di successo quello che si ergeva dinnanzi a me. Mi venne in seguito detto, da un amico dei miei genitori, che quello era Elvis Presley, il “re del Rock and roll”, il suo mito. Da quella volta sono passati 24 anni e dalla sua scomparsa ben 40, quando la mattina del 16 agosto 1977 “The King” venne trovato morto in bagno dalla fidanzata Ginger Alden. Per gli Stati Uniti e per il mondo intero fu uno choc: Elvis era il personaggio più famoso e più amato, nonostante le condizioni di salute, di sovrappeso, unite all’uso di droghe e alcol, se ne andava via all’età di soli 42 anni.
Furono in tanti a non accettare la morte di Elvis, sospettando che il “Re“ stufo della sua popolarità, avesse simulato il decesso per “sparire nel nulla” e rifarsi, finalmente, una nuova vita. La teoria del “complotto” venne poi alimentata da una serie di fatti e di misteri che gettano un’ombra di dubbio sulla ricostruzione ufficiale dei fatti che hanno circondato e circondano ancora l’artista. Innanzitutto il nome. Elvis aveva un secondo nome: Aron. Sulla tomba però fu riportato con due “a”, segno che ne cancella la vera identità e che quindi fa pensare che è ancora vivo. Nel suo secondo certificato di morte, perché il primo sparì misteriosamente, datato due mesi dopo, non corrisponderebbe il peso a quello degli ultimi giorni di vita. Esisterebbero due bare. La prima non arrivava a 90 chili e quindi era impossibile che contenesse il corpo di Elvis che al momento della morte ne pesava 158. Sarebbe stata presto sostituita da una seconda bara di oltre 400 chili, dove all’interno non c’era il corpo di Elvis, bensì una statua di cera a sua immagine e somiglianza. E che dire della foto del cadavere, che oggi noi tutti conosciamo, scattata dal cugino, che ritrae un Elvis magrissimo e ben più giovane dell’età che avesse. La firma sul certificato di Elvis è la stessa grafia che per anni ha firmato autografi, scritto lettere, siglato documenti ufficiali. E sì… avete capito bene: lo stesso Elvis, a quanto pare, si sarebbe firmato il suo certificato di morte. Nell’autopsia si parla di una cicatrice che dall’ombelico arriva sino al collo. Da nessuna foto di Elvis si evince una cicatrice, come dimostrano le numerose foto che lo ritraggono con la camicia aperta. Due ore dopo la scoperta del cadavere, un uomo comprava un biglietto per Buenos Aires. La prenotazione era stata fatta a nome di John Burrows, uno degli pseudonimi che utilizzava spesso Elvis. I due libri più importanti, quelli da cui non si separava mai, sono scomparsi e mai più ritrovati e il giorno successivo alla morte, la sua fiamma Lucy De Barbon, trovò sulla buca delle lettere una rosa inviata da El Lancelot, il soprannome che Elvis usava con lei e che nessuno conosceva.
Non so a voi ma tutta questa storia mi pare di averla già sentita per un altro artista, scomparso di recente e che ha pensato bene di inscenare la sua “morte fuga” come quella di Elvis. Sto parlando di Michael Jackson. Ma questa è tutta un’altra storia.