“Sicilia uguale mafia”: una terra piena di potenzialità rischia di essere ridotta a pregiudizi e stereotipi

“Sicilia uguale mafia”: una terra piena di potenzialità rischia di essere ridotta a pregiudizi e stereotipi

PALERMO – Sicilia? Mafia, campagnoli, ladri”: chi non si è mai sentito dire queste parole da qualche turista in visita in Sicilia o dopo aver rivelato a uno straniero di essere originario dell’isola più grande del Mediterraneo?

Gli stereotipi legati alla terra e alla popolazione siciliana hanno attraversato spazi immensi e da centinaia e centinaia di anni sono parte della “carta d’identità” della nostra regione, nel bene e nel male.

Più spesso, purtroppo, sono gli stereotipi negativi quelli dominanti nella mente dei non siciliani, nonostante l’isola mediterranea sia una delle mete turistiche più ambite e più ricche di risorse, territoriali e non, in Italia e in Europa.

I pregiudizi nei confronti dei siciliani oggi potrebbero sembrare “superati”, almeno in buona parte, ma non mancano spiacevoli episodi che rischiano di “mettere a repentaglio” la reputazione dell’isola e dei suoi abitanti: uno dei più recenti riguarderebbe una guida turistica della collana Easy Rough Guide, dove l’autrice del testo avrebbe scritto parole poco lusinghiere nei confronti della città di Agrigento, parlando in particolare di “scarso senso d’identità” e “atteggiamenti di tipo mafioso ben radicati”.

Le parole della guida turistica hanno scatenato la reazione di ristoratori ed esercenti della zona, ma anche di autorità politiche e di cittadini, irritati e amareggiati per la critica “velata” e le osservazioni compromettenti (nonché assolutamente non veritiere).

Purtroppo negli anni il binomio Sicilia-mafia è diventato quasi inscindibile e per molti l’associazione tra la bella isola e uno dei suoi maggiori problemi è praticamente d’obbligo. Le organizzazioni criminali di tipo mafioso, come è noto, hanno posto radici nel nostro territorio già intorno all’Ottocento e sfortunatamente ancora oggi sono una realtà con un potere, sociale ed economico, ben consolidato.

Il potere della mafia siciliana è arrivato ben oltre il suo territorio d’origine: negli anni Quaranta e Cinquanta, infatti, parte dei clan isolani avevano già costruito un vero e proprio “impero” oltreoceano, in particolare negli Stati Uniti, dove i boss erano specializzati soprattutto nel traffico di droga.

La storia del clan Corleone, in particolare, si è trasformata in un vero e proprio “caso internazionale” negli anni Settanta, quando la trilogia più celebre di tutti i tempi, la saga de “Il padrino”, con Marlon Brando nei panni del boss don Vito Corleone, ha raggiunto le sale cinematografiche di tutto il mondo.

La trasposizione cinematografica dell’ascesa dell’impero criminale dei Corleone, di enorme successo, ha dato origine a un vero e proprio “mito”, quello del siciliano mafioso, criminale e narcotrafficante. Considerando la popolarità della saga sul clan Corleone, non è difficile capire perché ancora oggi uno straniero conservi un’immagine stereotipata del siciliano, dipinto come un gangster con l’abito scuro, l’accento marcato e una spietatezza da far paura.

Ma i siciliani sono molto di più di tutto questo: tra loro esistono persone che hanno perso la vita per combattere la mafia o che la rischiano ogni giorno per garantire la sicurezza su tutto il territorio, esercenti onesti e gente che lavora per costruire una Sicilia migliore nonostante i vari problemi burocratici e sociali che nei secoli non hanno mai abbandonato l’isola. Di loro, purtroppo, non si parla molto all’estero, dove si preferisce associare la Sicilia e la sua popolazione a quel celebre personaggio e ai clan mafiosi del noto quartiere newyorkese di “Little Italy”, protagonisti di serie e film.

Quello del siciliano mafioso non è l’unico luogo comune diffuso nel mondo: le immagini della sposa giovane con l’abito bianco e rigorosamente con il velo, della vedova con l’abito e il velo neri, degli anziani con la coppola, berretto caratteristico siciliano, delle donne con il grembiule e degli uomini che lavorano con il carretto o suonano il mandolino sarebbero sicuramente le prime proposte da qualunque persona a cui venga chiesto di descrivere gli abitanti dell’isola. Per non parlare dell’immagine preferita da chi critica i “terroni”, ovvero quella del siciliano sfaticato e povero che non vuole lavorare.

Spesso questi cliché non sono associati soltanto a tradizioni territoriali più o meno diffuse, ma vengono ridotti a esemplificazioni della presunta mentalità retrograda e rurale dei siciliani, nonostante gran parte di queste immagini siano superate (la società siciliana, pur con alcune eccezioni, è in realtà molto più moderna di quanto si possa pensare).

Questi stereotipi sono in parte frutto degli antichi racconti dei siciliani poveri emigrati all’estero il secolo scorso e delle vicende mediatiche legate ai problemi della nostra terra (spesso legate a mafia e corruzione) . Innegabilmente, essi costituiscono parte della realtà siciliana, ma ciò non giustifica il trionfo delle immagini negative.

Nonostante sembri che recentemente si stia registrando un’inversione di tendenza, la descrizione di Catania fornita recentemente dal quotidiano inglese “The Guardian” ne è un esempio lampante, sono ancora troppi i casi in cui le grandi bellezze della Sicilia, come le riserve naturali, i monumenti, il cibo e l’accoglienza dei suoi abitanti, vengono oscurate da immagini negative, spesso false o parziali. Quindi, ai siciliani purtroppo tocca ancora oggi subire le conseguenze di questi pregiudizi che oscurano lo splendore della loro terra d’origine e lavorare per cancellarli dalla mente di chi osserva dall’esterno.